Bayern Borussia 2013

Bayern Monaco-Borussia Dortmund 2013, la finale tedesca

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È risaputo che le favole più belle, quelle che tendono a piacere di più, terminano con un lieto fine. Spesso però, quelle che emozionano maggiormente, sono le storie che a causa di un finale diverso da quello auspicato da molti, finiscono per deludere gli appassionati. Bayern Monaco-Borussia Dortmund del 25 maggio 2013 è una delle partite che meglio esprime questo concetto.

Si gioca a Londra, al Wembley Stadium. Difficile trovare uno scenario più suggestivo per la prima finale made in Germany della storia della Champions League.

Da una parte la squadra più blasonata della Germania, il Bayern Monaco di Jupp Heynckes, fresco vincitore del Meisterschale e della Coppa nazionale, alla ricerca di uno storico Triplete e grande favorita per la vittoria finale. Dall’altra i ragazzini terribili del Borussia Dortmund, guidati da Jürgen Klopp. Acerrimi rivali dei bavaresi, sono giunti all’atto finale della competizione come vera e propria outsider, dopo una cavalcata incredibile che ha fatto innamorare milioni di appassionati.

Se il Bayern era infatti arrivato fino a Londra demolendo qualsiasi avversario si palesasse sul proprio cammino, infliggendo anche un incredibile 7-0 totale nel doppio confronto a quel che restava del Barcellona di Tito Vilanova, più travagliato è stato il percorso dei gialloneri del Borussia Dortmund. Già ai quarti di finale i ragazzi di Klopp avevano dovuto rimontare nei minuti di recupero due gol all’altra sorpresa della competizione, il Malaga, dopo essere stati a un passo dall’eliminazione. In semifinale, dopo aver brillantemente superato per 4-1 il Real di Mourinho all’andata, il ritorno al Bernabéu ha complicato i piani del Borussia, soprattutto nei minuti finali, quando i due gol dei Blancos hanno rischiato di compromettere il percorso del BVB.

I sette gol rifilati ai catalani dalla corazzata bavarese




Al fischio di inizio le formazioni sono quelle anticipate alla vigilia. Moduli speculari, 4-2-3-1 da ambo le parti. L’assenza che fa discutere è quella di Mario Götze, trequartista dei gialloneri. Il talentuoso numero dieci tedesco deve saltare la finale a causa di un problema muscolare ma è già promesso sposo ai rivali bavaresi, strappato al Borussia poiché fortemente voluto dal futuro tecnico del Bayern, Pep Guardiola, che per lui ha in mente un ruolo simile a quello che ricopriva Messi nel suo meraviglioso Barcellona. Le cose, come ben sappiamo, non andranno esattamente allo stesso modo.

Inizia il match e le prime occasioni sono tutte di marca giallonera, per tre volte è bravo Neuer a disinnescare i tentativi della banda di Klopp, in particolare è una prodezza quella che nega a Blaszczykowski la gioia del gol, dopo una bella azione di Marco Reus.

La reazione dei bavaresi non tarda a farsi attendere: prima Javi Martínez va vicino al bersaglio, girando alto di testa sull’angolo di Franck Ribéry, e pochi minuti dopo è Weidenfeller a salvare il Borussia sul colpo di testa a botta sicura di Mario Mandžukić.

Dopo che il solito Manuel Neuer in uscita ipnotizza il futuro compagno di vittorie Robert Lewandowski, il finale della prima frazione è tutto per i bavaresi, che vanno vicini al gol due volte con Arjen Robben. Prima, liberato sulla destra, l’esterno orange conclude con il piede debole ma l’estremo difensore giallonero è provvidenziale, mentre poco dopo approfittando di un’indecisione della retroguardia avversaria si ritrova sul sinistro la palla per portare in vantaggio i suoi, ma Weidenfeller è ancora una volta fenomenale nel respingere la conclusione a botta sicura del dieci in maglia rossa.

Il primo tempo si chiude così in parità: meglio il Borussia all’inizio, poi il Bayern è uscito alla distanza.



Alla prima vera occasione della ripresa i bavaresi passano: al 60′ il filtrante di Ribéry libera Robben, che salta il portiere e mette al centro dove Mandžukić indisturbato può battere a rete.

Lo svantaggio sembra aver tolto entusiasmo ai gialloneri, che però non hanno intenzione di veder vanificati i loro sforzi per arrivare all’atto finale della competizione. Infatti, sfruttando una delle non troppo rare sbavature di Dante, un immenso Marco Reus, il migliore dei suoi insieme a Weidenfeller, si procura un calcio di rigore. Sul dischetto si presenta İlkay Gündoğan, che spiazza Neuer e riporta il punteggio in parità. A venti minuti dal triplice fischio, la finale è in perfetto equilibrio.

Il Bayern inizia a spingere con grande decisione alla ricerca del vantaggio. Gli sforzi della squadra di Jupp Heynckes sembrano essere premiati quando Thomas Müller salta il portiere e conclude a botta sicura, ma un clamoroso intervento di Neven Subotić impedisce al pallone di varcare la linea di porta. Klopp esulta come per un gol e la sua squadra resta miracolosamente in gara, nonostante le energie scarseggino dopo settanta minuti giocati ad altissima intensità. C’è tempo anche per una gran conclusione di Alaba dai venti metri, ma il solito, eroico Weidenfeller manda in angolo.

Quando tutto sembra apparecchiato per i tempi supplementari, è ancora la premiata ditta Robbery – così erano chiamati dai propri tifosi i due esterni che hanno deliziato la fortunata platea bavarese per un decennio – a confezionare il gol vittoria. Su un lancio dalle retrovie di Jérôme Boateng si avventa Ribéry, che difende palla tra i due centrali gialloneri e scarica per Robben, che passa tra i due difensori e batte il portiere avversario.

Non è un gol qualsiasi per lui, ma una vera e propria liberazione, e non solo perché consegna ai tedeschi una coppa che mancava dal 2001. Robben era accusato di essere un eterno perdente – che fa sorridere, visto che in quel momento, tra le altre cose, aveva già vinto una Liga, due Premier League e due Bundesliga –, l’anno precedente aveva sbagliato in finale il rigore che avrebbe consegnato ai tedeschi il trofeo, per di più in casa del Bayern, vinto invece dal Chelsea di Roberto Di Matteo; tre anni prima, nella finale del Mondiale, a tu per tu con il portiere, si era fatto ipnotizzare da Casillas, in un’occasione che se convertita avrebbe molto probabilmente consegnato ai Paesi Bassi il loro primo titolo iridato.

Per questo l’etichetta di eterno perdente – perlomeno dinanzi ai grandissimi appuntamenti – gravava molto pesantemente sulle spalle del nativo di Bedum, che più di chiunque altro desiderava liberarsi di quel fardello, come testimonia la sua esultanza. Una soddisfazione meritata per uno dei giocatori più forti del primo ventennio dei Duemila, caratterizzato dall’iconico movimento a rientrare sul sinistro, tanto prevedibile quanto immarcabile.

Dopo la rete del 2-1 non c’è più nulla da fare per il Dortmund, arriva il triplice fischio ed esplode la gioia dei bavaresi. Per loro è Triplete, e il sogno Champions, per anni solamente accarezzato, è finalmente realtà. Una degna conclusione per il ciclo di Jupp Heynckes, allenatore che termina nel migliore dei modi la sua esperienza in Baviera, lasciando nelle sapienti mani di Pep Guardiola una macchina quasi perfetta.

Dall’altra parte, il rammarico è enorme. Il Bayern ai punti ha certamente meritato la vittoria e disponeva di una rosa qualitativamente e quantitativamente superiore, ma nei giocatori del Borussia è presente la consapevolezza che questa era l’unica vera occasione per scrivere la storia insieme, vincendo la competizione più importante per i club.

Nessuno lo ammette, ma tutti sono consapevoli che questa notte del 2013 che ha premiato il Bayern è stato il punto più alto del ciclo Klopp al Borussia Dortmund. Alcuni giocatori chiave per la squadra, come Götze, sono già certi abbandonare, e altri, Lewandowski e Hummels in primis, lo faranno negli anni a venire.

Se c’è una cosa che nessuna sconfitta potrà mai cancellare è il legame che si è creato tra gli appassionati e questo Borussia Dortmund. Tifosi di tutto il mondo si sono affezionati al club e hanno seguito la cavalcata dei gialloneri come se fosse la loro squadra. Un’outsider affascinante, un gioco divertente e spettacolare, tanti giovani talenti emergenti, guidati da un tedesco, Jürgen Klopp, personaggio tanto spontaneo quanto sincero, che negli anni a venire avrebbe avuto modo di prendersi la sua rivincita, in una magica notte di Madrid. Non senza passare prima, lui come quel Robben che tanto lo ha fatto soffrire, per il purgatorio delle sconfitte.

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