Darío Coronel

Darío Coronel, l’altra faccia di Fuerte Apache

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Corre l’anno 1992, un vecchietto di nome Norberto ‘TanoPropato sta girando per il barrio di Fuerte Apache – uno dei più poveri e pericolosi di Buenos Aires – su un furgone malridotto, alla ricerca di giovani talenti nascosti. Propato è l’allenatore dell’annata ’84 delle giovanili dell’All Boys, una squadra che milita nella terza divisione argentina. Durante una delle sue ronde il vecchietto nota due ragazzini davvero interessanti: Carlos Martínez, che poi verrà conosciuto come Carlos Tévez, e Darío Coronel, un ragazzo di origini paraguaiane che viene chiamato el Guacho Cabañas, per la sua somiglianza con l’allora attaccante del Boca Juniors Roberto Cabañas.



I due vivevano nello stesso edificio, il Blocco 1 di Fuerte Apache, ed essendo coetanei, sin da piccoli avevano stretto un forte legame di amicizia. Tra loro vi era anche una perenne competizione, e per questo motivo spesso litigavano e finivano per darsele, per poi tornare a ridere e scherzare dopo pochi minuti.

Propato decide di portare entrambi all’All Boys, passando a prenderli con il suo furgone ogni giorno, per portarli agli allenamenti. In poco tempo diventano punti fermi della squadra. Carlitos è il numero nove, il puntero, ma Cabañas è il numero dieci, il leader, quello che si prende carico della squadra nei momenti di difficoltà e la porta alla vittoria. Insieme sono devastanti, praticamente inarrestabili. Nella testa di tutti Darío farà sicuramente carriera, l’altro non è male, ma chissà.

Dopo tre anni passati a giocare a calcio a 7 con gli All Boys, i due ragazzini decidono che è arrivato il momento di passare al campo a 11, e quindi di iniziare a giocare per le giovanili delle squadre di Primera División, che avevano già messo gli occhi sulla coppia. Si presentano per un provino organizzato dal Vélez, nel quale Darío lascia a bocca aperta i responsabili del settore giovanile della squadra di Liniers, e viene subito preso. Tévez invece viene rifiutato poiché, a detta dei dirigenti, non era ancora pronto per il salto di categoria, e decide dunque di rimanere ancora un anno all’All Boys con Propato.

Quando tutto sembra andare per il meglio, la vita del Guacho viene però sconvolta. La madre decide di tornare in Paraguay con i fratelli maggiori, lasciando Darío a Fuerte Apache con il patrigno violento. Il ragazzino da quel momento si presenta sporadicamente agli allenamenti, e quando lo fa puzza di marijuana. I dirigenti del Vélez provano in tutti i modi a rimetterlo sulla giusta via, andando a cercarlo nel suo barrio quando non si presentava, laddove evitavano volentieri di andare normalmente, ma Coronel si nascondeva per non farsi trovare. Darío infatti, abbandonato da tutti, già da piccolissimo aveva iniziato a frequentare la banda più pericolosa del quartiere, i Backstreet Boys di Fuerte Apache. Velocemente la vita del Guacho degenera: armi, droghe, furti e violenza diventano una costante. I dirigenti del Vélez, stanchi dei comportamenti del ragazzo, lo lasciano a casa senza una squadra.

Intanto el Tano Propato allenava il Comunicaciones, una squadra professionistica di basso livello. Darío, dopo esser stato cacciato dal Vélez, gli chiede aiuto: voleva giocare sotto la sua guida. «Hai la possibilità di andare al Boca o al River, puoi sceglierti la squadra che vuoi. Perché vuoi venire a giocare con noi? Sei pazzo?», «Voglio giocare qui perché ci sei tu, sei l’unico che mi può controllare un po’. Mi sono messo nei casini». Propato non ci pensa un attimo, gli voleva bene come un figlio, e decise di aiutarlo. Già l’indomani avrebbe potuto iniziare ad allenarsi. Si salutarono, ma Coronel non si fece mai più vedere.

Qualche anno fa, Carlos Pérez, ex compagno di squadra di Darío Coronel e Carlitos Tévez, disse: «Cabañas era molto più forte di Tévez. Sono sicuro che se quell’idiota si fosse dato una svegliata sarebbe arrivato in prima divisione. Aveva un talento spaventoso e ce la metteva tutta. Tévez è famoso per il suo impegno, ma Cabañas in campo ci lasciava la pelle».



Gli anni passano, e Carlitos Tévez, dopo essere stato preso dal Boca, entra nel giro della Nazionale Under-17. La sera del suo debutto, nel 2001, Coronel si reca da Didì, l’allenatore dell’epoca del Santa Clara, la squadra di Fuerte Apache per la quale aveva giocato da bambino con Tévez, gli dice: «Com’è possibile? Spiegami. Non capisco come quello stronzo sia arrivato fin là e io invece sono ricercato dalla polizia. Mi vogliono uccidere, Didí. Io giocavo meglio, Didí, tu lo sai come giocavo io. E guarda come sto».

Già, perché nel mentre Darío è diventato un carta blanca, appellativo che in Argentina si dà a chi ha ucciso un poliziotto. È successo durante l’ennesima rapina, qualcosa è andato storto e adesso è troppo tardi. A Fuerte Apache, se un carta blanca viene preso, non viene mandato in carcere. La polizia, a Fuerte Apache, ci entra solo per i carta blanca, ed escono con meno proiettili di quanti ne avevano da appena entrati.

È il settembre 2001, Darío Coronel è in giro per il barrio insieme alla sua banda, ma a Fuerte Apache, quel giorno, non sono gli unici ad essere armati. Ingaggiare un duello armato con la polizia peggiorerebbe solo la situazione, non resta che correre, più veloce di quanto si possa credere di poter fare. Ma Darío, non più Cabañas, di fiato ne ha sempre meno a causa della sua vita sregolata. La colla che costantemente viene su dalle sue narici lo ha distrutto. È sfinito, non ha nemmeno la forza di scavalcare quel muro, quando si ritrova in un vicolo cieco. È troppo tardi, i poliziotti ormai gli stanno puntando le pistole addosso. Ha solo il tempo di decidere che fine fare: si punta la pistola alla tempia e preme il grilletto.

Pochi giorni prima Coronel e Tévez si erano incontrati, Carlitos doveva partire per i Caraibi, precisamente Trinidad e Tobago, dove si disputavano i Mondiali Under-17 con l’Albiceleste, ma prima di andare via gli promise di regalargli la maglia del debutto. Non si incontreranno mai più. Quella maglia, Darío Coronel, non la avrà mai.

«Mentre gli promettevo la maglietta, sentivo che quello era il nostro addio. Quando penso a lui, lo ricordo come il mio migliore amico. Anche io da piccolo ho dovuto scegliere: delinquente o calciatore», Carlos ha fatto la scelta giusta, Darío, purtroppo, no.

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