Stevan Jovetić

Stevan Jovetić, tra alti e bassi come uno Jo-Jo

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L’emozione, l’attimo, il secondo tra il miope baratro e una pennellata di felicità, l’intuizione e il soffio di fiato. Il numero dieci può essere racchiuso, per quanto possibile, in queste parole che sono presenza, le puoi toccare con mano e le puoi ammirare con gli occhi. Una carrellata di stoccate, danze frenetiche, controlli ai limiti della fisica fino ad adesso conosciuta. Non c’è bellezza però che non racchiuda in sé, come scrigno di valore, paure, incertezze, delusioni, cadute e fallimenti. La tendenza naif dei diez balcanici, o meglio, dei deset, li porta a perdersi tra i ghirigori della propria classe e ad abbattersi contro i mari in burrasca della discontinuità. Questa forma d’arte calcistica dissacrante è ben nota agli amanti del calcio, riconoscendone uno dei suoi massimi esponenti in un fantasista lontano dal tempo e da ogni convenzione sportiva: Stevan Jovetić.


Due anime della stessa medaglia

Stevan Jovetić nasce a Podgorica, capitale del Montenegro, uno Stato giovane ma dalle tante anime, frutto della mescolanza che discende da diverse dominazioni. Lo Stato montenegrino ha infatti una peculiarità tutta sua: ospita all’interno del suo territorio Podgorica e Cetinje, ed entrambe sono capitali. La prima è la capitale ufficiale, la seconda è onoraria e fa da sede per la presidenza di Stato. È chiaro come, in un territorio così particolare, che traccia le sue direttrici storiche dalla connotazione intensamente personale, nascano talenti dalla forte personalità e dal rendimento che oscilla tra scintilla e depressione.

Il Montenegro ha dato i natali a grandi campioni come Savićević, Mijatović e Vučinić, e nel loro segno il 2 novembre del 1989 viene al mondo Jo-Jo, muovendo i primi passi nel Mladost Podgorica, per poi passare al blasonato Partizan di Belgrado. Sono 53 le presenze in Serbia, condite da 17 goal, sufficienti, uno per uno, ad attirare le attenzioni di tutta l’Europa.

Nasce da dieci con l’otto sulle spalle come i grandi del calcio inglese, e già solo questo rende il suo profilo interessante. Ma in barba al numero che ha stampato sulla maglia, le movenze ed i colpi sono da fantasista puro.

Firenze, città d’arte per eccellenza, si accaparra il nuovo artista del momento. La Fiorentina, con atteggiamento mecenatico, permette al giovane Stevan di prendersi la squadra sulle spalle, mettendo in conto gli alti e bassi che fanno parte della sua natura. Jovetić incanta un pubblico abituato e mai sazio alla bellezza. A Firenze un pittore del calcio di queste dimensioni si sente sempre a casa. Prandelli è probabilmente, con Montella, l’allenatore che lo lascia più libero di condizionare le partite partendo da dietro, concedendogli una visuale ampia e chiara della sua tela. Sono 134 le presenze, 40 i goal e 21 gli assist totali tra campionato e coppe. Sì, perché Jo-Jo incanta anche in Champions, regalando serate uniche al popolo toscano.

Non solo fiori e gioie ma anche dolori: durante la preparazione della Serie A 2010/2011, il ginocchio di Stevan fa crack e inizia un calvario infinito. Dall’infortunio si rialza e torna dirompente a dipingere il suo mondo, la sua visione del calcio, che passa dal numero otto, morbido e tondo, con curve dolci.

Il Manchester City lo corteggia e Stevan risponde. L’Inghilterra è il luogo adatto per imporsi a livello mondiale, di fatti la Premier League offre visibilità, sponsor e gloria. A chilometri di distanza dalla Toscana, il montenegrino scopre però che in quel meccanismo frenetico che è il calcio inglese non può esprimere le sue qualità, manca il senso rinascimentale del bello che lo ha sempre coccolato e aiutato ad esplodere.

Inizia dall’Inghilterra il suo vagare alla ricerca di un equilibrio tutto suo, un equilibrio instabile che gli permetta di esprimersi al meglio. Si trasforma controvoglia in quello che non è: una punta centrale, un nove forzato che non lo soddisfa. Di nuovo Italia, stavolta all’Inter, ma dopo un inizio da stropicciarsi gli occhi, cade ancora nel baratro degli infortuni e dell’incomprensione. Lascia l’Italia alla volta di Siviglia, dove ad attenderlo c’è Sampaoli, un maestro di calcio estatico, ma non convince nonostante le 21 presenze e i 6 goal in soli sei mesi. Il club del Principato, il Monaco, dalle grandi ambizioni, è la sua ultima chiamata nel calcio che conta, l’ultimo approdo dopo anni di navigazione a vista. Il progetto lo intriga ma, nell’aprile del 2019, ancora il maledetto crociato a fermarlo. Una dannazione degna dei migliori miti antichi, dove gli dei, per fermare l’eroe, escogitavano le peggiori maledizioni possibili.



Tatticamente parlando

Dal punto di vista tattico Stevan ha indubbiamente incarnato la cosiddetta “ventata spagnola”, che ha trasformato il ruolo del numero dieci. Un calcio frenetico, fatto di pressing asfissiante, che costringe le squadre a difendersi alte, eludendo velocemente il pressing avversario con veloci fraseggi. In questo scenario le figure mitiche del passato, i fantasisti, fanno fatica. Giocatori isolati dal gioco, che si muovevano in maniera scoordinata rispetto alla squadra, ma che regalavano gesta mitiche difficilmente riproducibili.

Ecco che Jovetić, da falso otto, si inserisce in queste dinamiche reinventando il ruolo del trequartista, unendo tecnica ed esplosività. Non è un brevilineo, è anzi sorretto da una buona muscolatura. Il possesso palla è un must, di conseguenza è fondamentale avere una rete di passaggi puliti. In questo contesto, il nuovo deset diventa fondamentale: utilissimo nella gestione del possesso, svariando in ogni zona nevralgica offensiva. Pressing, riconquista e pulizia nella gestione, sono questi i dettami chiesti al nuovo fantasista, e per sue caratteristiche, Jo-Jo è riuscito a sopravvivere nel calcio moderno senza snaturarsi.

Resta comunque curioso notare come, al di là di Firenze, Jovetić non abbia più ricoperto quel ruolo di rifinitore. Con la sua storia errante ha camminato, di pari passo, un avvicinamento alla porta che lo ha allontanato dalla sua comfort zone, quella trequarti terra di nessuno dove inventare calcio. Importante sottolineare quindi che questa trasformazione da falso otto, verso un sostanziale nove, è coincisa con il suo allontanamento da Firenze, che rappresenta indubbiamente il momento più alto della sua carriera.

La notte di Stevan Jovetić

C’è sempre una sliding door in ogni storia leggendaria che si rispetti. Il momento di Stevan, la sua notte da deset, la vive ovviamente a Firenze. Stadio Artemio Franchi, 29 settembre 2009, Fiorentina-Liverpool, un’aria da grande notte europea che la città non vive da anni.

In Europa la Viola non vince in casa dal lontano 2000 – 1-0 contro il Valencia, con gol di Predrag Mijatović, altro montenegrino –, ma ci sono tutti gli elementi per brillare. Il protagonista, nell’aria frizzante della notte toscana, è senza dubbio Stevan Jovetić, che sigla una doppietta con cui rilancia la Fiorentina nel discorso qualificazione.

Il primo goal è poesia: lanciato da Montolivo, Jo-Jo si insinua in un corridoio che vede solo lui, tenuto in gioco da Insua, e colpisce a rete per il vantaggio alla mezz’ora di gioco. Per il raddoppio c’è da aspettare solo una decina di minuti: Stevan raccoglie un cross trasformandolo in rete con un’intuizione fulminea di piatto. È un tripudio, è gioia pura, è una notte da vero Deset con la D maiuscola.

Quell’anno la squadra di Prandelli verrà eliminata agli ottavi di finale dal Bayern Monaco – anche a causa di un goal in fuorigioco di due metri nella gara d’andata – dopo aver sfoderato due grandi prestazioni, che però non basteranno per passare il turno. Anche in quel caso, nel 3-2 casalingo della Fiorentina sul Bayern, Stevan Jovetić metterà il suo zampino.

Tra miti e leggende

In Montenegro, più precisamente nella baia di Boka, al di fuori del centro cittadino di Kotor, viene narrata una leggenda secondo la quale, affacciate dalle finestre di Palazzo Tre Sorelle, tre giovani fanciulle innamorate dello stesso uomo, lo aspettarono invano fino alla loro morte.

Il marinaio che non fece mai ritorno può benissimo essere accostato a Stevan Jovetić, più in particolare alle manifestazioni del suo talento, divenute sempre più rare, creando ansia ed attesa in tutti gli amanti del calcio. Proprio come le tre sorelle, il mondo poliglotta del calcio attende con ansia il ritorno di quelle geniali gesta.

Forse però la leggenda del miglior marcatore della storia del Montenegro è proprio questa, la maledizione di splendere facendolo solo a vampate, per lasciare il segno e non spegnersi come gli altri. Nei cuori, nascosti tra i meandri dei sentimenti, tra gli anfratti dell’essere, le gesta di questi meta-uomini che vanno oltre la semplice natura umana restano indelebili.

Lo sport è sempre stato metafora di vita, semplicemente perché esso è vita. Il suo numero otto travestito da dieci riflette allo stesso tempo paure e gioie. Prendendo in prestito il famoso aforisma di Eraclito, «Panta Rhei», che ci ricorda come tutto scorra e si trasformi, ci viene facile pensare come Jo-Jo abbia cambiato pelle senza tradire la sua vera ragion d’essere: alimentare la fiamma magica dello stupore, creare arte come un pittore, suonare come un musicista le note che toccano la fragile anima umana.

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