Fiorentina Montella

La Fiorentina di Vincenzo Montella

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È l’11 giugno del 2012. L’Europeo di calcio in Polonia e Ucraina è iniziato da qualche giorno, e l’Italia la sera prima ha esordito con un ottimo pareggio contro i campioni in carica della Spagna. Il calciomercato vive una fase di calma apparente, dato che la maggior parte delle grandi operazioni verrà definita dopo la manifestazione. A Firenze, invece, non c’è tempo da perdere. Per la Fiorentina c’è bisogno di una vera e propria rivoluzione, che partirà dalla scelta dell’allenatore annunciato quel giorno: Vincenzo Montella.


La Fiorentina, prima di Vincenzo Montella

All’inizio del terzo millennio, la Fiorentina fu protagonista di un vero e proprio saliscendi: prima la vittoria della Coppa Italia nel 2001 con Roberto Mancini, poi un terribile fallimento societario l’anno successivo, con la ripartenza dalla Serie C2, la società rilevata dai fratelli Della Valle, e infine la rapida risalita, culminata nell’impresa sfiorata contro il Bayern Monaco agli ottavi di Champions nel 2010, sotto la guida di Cesare Prandelli.

Le prime due stagioni del secondo decennio furono però abbastanza deludenti. In particolare nel 2011/2012 la Viola si ritrovò a navigare nei bassifondi della classifica per quasi tutta la stagione, con un capitano – Riccardo Montolivo – che non intendeva rinnovare il contratto in scadenza a giugno 2012, dei giovani troppo acerbi e discontinui – come Adem Ljajić –, i protagonisti delle notti di Champions che avevano ormai dato il loro meglio – come Natali, Marchionni e Gilardino – e il solo Stevan Jovetić a reggere il peso dell’attacco, dopo l’addio a gennaio dello stesso Gilardino. Contribuì a destabilizzare l’ambiente anche una situazione societaria confusa, che vide Andrea Della Valle lasciare definitivamente la presidenza del club a Mario Cognigni, pur mantenendo la carica di presidente onorario.

A Siniša Mihajlović subentrò a novembre Delio Rossi, ma la sua stagione finì con il corpo a corpo con Ljajić, forse la vera immagine di quell’annata in cui c’era evidentemente qualcosa che non andava a Firenze. L’arrivo a gennaio di Amauri, salutato con entusiasmo dall’ambiente, non sortì gli effetti sperati e non cambiò il volto di una Fiorentina demotivata. Segnò un solo gol, a San Siro contro il Milan, che paradossalmente risultò più importante per la Juventus – in lotta con i rossoneri per il primo dei poi nove scudetti consecutivi – che per la Fiorentina stessa, che chiuse il campionato con un anonimo tredicesimo posto.

Era sempre più chiaro che servisse un cambio di rotta radicale. L’inizio di questo nuovo progetto fu affidato a un allenatore che, con i suoi 37 anni, poteva essere considerato uno dei migliori tecnici emergenti.


Vincenzo Montella, prima della Fiorentina

Nella sua ottima carriera da attaccante, l’Aeroplanino – soprannome dovuto alla sua iconica esultanza – aveva segnato oltre duecento reti, ritirandosi nel 2009 e iniziando subito ad allenare nella “sua” Roma, dove venne promosso dai Giovanissimi alla prima squadra nel febbraio del 2011 in seguito alle dimissioni di Claudio Ranieri.

I quattro mesi alla Roma furono caratterizzati da alti e bassi, con la squadra che chiuse il campionato al sesto posto, ma i tifosi romanisti ricordano con particolare affetto il Derby della Capitale vinto contro la Lazio per 2-0 con doppietta dell’eterno capitano Francesco Totti.

Fu però al Catania, nella stagione successiva, che riuscì a mettere in mostra le sue idee di calcio. Grazie a un 4-3-3 piuttosto fluido e vivace, la squadra si salvò con largo anticipo, coltivando persino il sogno europeo, chiudendo poi all’undicesimo posto con 48 punti, record per la compagine etnea. Sotto la sapiente regia di Ciccio Lodi e con la difesa affidata all’esperto Nicola Legrottaglie, nacque una squadra dalla forte identità argentina: emersero infatti giocatori fino a quel momento semi-sconosciuti come Gonzalo Bergessio e il Pitu Barrientos, ma soprattutto un ventitreenne di nome Alejandro Darío Gómez, per tutti il Papu, che poi sarebbe diventato un’icona dell’Atalanta di Gasperini.


La rivoluzione sul mercato della Fiorentina di Vincenzo Montella

È così che le strade di Montella e della Fiorentina confluiscono, dopo l’interruzione del rapporto dell’allenatore campano con il Catania e durante la suddetta rivoluzione in atto in riva all’Arno, dove a cambiare non fu solo la guida tecnica. L’aria di rinnovamento si respirava già a marzo 2012, con l’addio del direttore sportivo Pantaleo Corvino, l’artefice, insieme a Prandelli, della Fiorentina competitiva degli ultimi anni Duemila. Gli successe Daniele Pradè, proveniente dalla Roma, determinante nella scelta di Montella come allenatore, dati i trascorsi comuni. Sarebbe stato lui a guidare una squadra di giocatori quasi completamente nuova, con tutti i rischi del caso.

Le cessioni furono più di trenta, un numero che certamente tiene conto di tanti prestiti e operazioni minori, ma che comprende anche parecchi titolari della stagione precedente. Fecero le valigie giocatori come Boruc, Nastasić, Natali, Gamberini, De Silvestri, Behrami, Cerci, Marchionni, Lazzari, Vargas e Amauri. L’addio più doloroso, sebbene annunciato da tempo e ufficializzato già il 17 maggio, fu però quello di capitan Montolivo, da sette anni in maglia viola e protagonista anche di un ottimo Europeo, che si trasferì al Milan a parametro zero.

A queste cessioni fecero però da contraltare alcuni acquisti che ridiedero entusiasmo alla piazza. La porta venne affidata a Emiliano Viviano, ragazzo da sempre tifoso della Fiorentina, che durante la stagione alternerà buone prestazioni a passaggi a vuoto, perdendo nel corso dell’annata il posto in favore del brasiliano Neto.

In difesa arrivano Gonzalo Rodríguez, che diventerà il vero leader del pacchetto arretrato, Facundo Roncaglia, Stefan Savić e Nenad Tomović, mentre a centrocampo il colpo fu Borja Valero, oltre ad Alberto Aquilani a parametro zero e a Mati Fernández, che diventerà il dodicesimo uomo di Montella, potendo ricoprire bene più ruoli. Per la fascia destra venne prelevato in comproprietà dall’Udinese il colombiano Juan Guillermo Cuadrado, mentre un altro arrivo a parametro zero fu il ritorno di un attaccante molto amato da quelle parti, come del resto in ogni città in cui ha giocato: Luca Toni.

La vera operazione geniale riguardò però l’ingaggio di un vertice basso di centrocampo che non farà per nulla rimpiangere Montolivo: si tratta di David Pizarro, fortemente voluto da Montella, che era stato prima suo compagno di squadra e poi suo allenatore a Roma. Il centrocampista cileno giunse anch’egli a parametro zero, dopo una stagione in cui giocò pochissimo tra Roma e Manchester City.


Come giocava la Fiorentina di Vincenzo Montella

Le caratteristiche dei giocatori permettevano a Montella di variare il sistema di gioco, anche a partita in corso, alternando il 3-5-2 al 4-3-3, tanto che spesso il vero modulo era una sorta di “ibrido”, con la costante di un baricentro piuttosto alto. La posizione sulla sinistra di Manuel Pasqual, uno dei pochissimi superstiti del ciclo di Prandelli e nuovo capitano della squadra, rappresentava l’ago della bilancia, essendo uno dei giocatori più coinvolti nella costruzione del gioco.

Il 3-5-2 compensava qualche lacuna nell’uno contro uno, ma il 4-3-3 presentava come vantaggio quello di liberare Cuadrado sull’altra fascia da troppi compiti difensivi. Giocando sulla linea degli attaccanti, il colombiano poteva dare maggiore sfogo al suo estro e alla sua capacità di saltare l’uomo tramite il dribbling.

Tutto questo era possibile anche grazie alla duttilità di Tomović, giocatore troppo spesso bistrattato, perché non dotato della tecnica di base degli altri interpreti del gioco di Montella, ma che poteva ricoprire sia il ruolo di braccetto laterale nella difesa a tre, che di terzino in quella a quattro, formando una catena di destra con Cuadrado già collaudata ai tempi del Lecce.

In ogni caso, la costante in tutte e tre le stagioni era un terzetto di centrocampo dall’enorme tasso tecnico, formato per quanto riguarda i titolari da Pizarro, Borja Valero e Aquilani. I tre finirono per integrarsi alla perfezione. Pizarro si rivelò fondamentale per la capacità di dettare i tempi; Borja Valero, più dinamico, portava palla e inventava per gli attaccanti, tanto da arrivare a 13 assist nella sua prima stagione in viola; Aquilani, infine, mise in mostra delle capacità di inserimento che mai aveva dimostrato con tale continuità in carriera, mettendo a segno 7 gol in ognuna delle prime due stagioni alla Fiorentina, suo record in carriera.

Il reparto offensivo fu invece quello che conobbe più cambiamenti nel corso del triennio, in base ai momenti delle stagioni e alle disponibilità dei giocatori.

La Fiorentina di Montella era in generale una squadra che si fondava sul possesso palla e su un gioco propositivo e vivace, dovuto soprattutto al trio di centrocampo, con lo spettacolo assicurato anche in caso di sconfitta. Bisogna dire però che tanti gol, spesso decisivi, sono arrivati da palla inattiva. Questo deve stupire fino ad un certo punto, data la presenza di eccellenti battitori – in genere erano Borja Valero, destro di piede, e Pasqual, mancino, a dividersi i calci piazzati a seconda della posizione – e ottimi stoccatori di testa – come Gonzalo Rodríguez.


La Fiorentina di Vincenzo Montella – Stagione 2012/2013

La Fiorentina di Montella si presentò fin da subito come una squadra intenta a dire la sua per le parti alte della classifica, anche per il tipo di gioco proposto. Al Franchi la squadra appare pressoché imbattibile, ma sembra avere il “mal di trasferta”, dettato dalle sconfitte contro Napoli e Inter e i pareggi con Parma e Chievo.

La prima vittoria esterna arrivò soltanto alla decima giornata contro il Genoa. Quel successo al Ferraris si rivelò essere parte di una striscia di cinque vittorie consecutive che misero finalmente le cose in chiaro: la Viola lotterà per l’Europa fino alla fine. In particolare, fu la vittoria contro il Milan a San Siro dell’11 novembre a mostrare ciò di cui era capace questa squadra, che dominò dal primo all’ultimo minuto e vinse 1-3 segnando prima con l’ex Aquilani sugli sviluppi di una rimessa laterale, poi con Borja Valero, che con uno slalom in area trovò l’unico gol stagionale, e infine con El Hamdaoui dal limite dell’area, dopo che il Milan aveva accorciato le distanze con un altro gol dell’ex, realizzato da Giampaolo Pazzini. L’unica altra sconfitta dell’anno solare 2012 fu quella contro la Roma per 4-2, in uno scoppiettante confronto tra due filosofie diverse, ma altrettanto spettacolari come quelle di Zeman e di Montella.

Nel mercato di gennaio, Pradè decise saggiamente di non toccare nulla in quello che ormai sta diventando un ingranaggio perfetto, piazzando però un colpo enorme in prospettiva futura: Giuseppe Rossi. Pepito sta recuperando da un terribile infortunio – che, purtroppo per lui, non sarà l’unico della sua carriera – e non può ancora scendere in campo, ma tutto faceva pensare che la Fiorentina avesse intenzione di creare un progetto serio e duraturo che ovviamente prevedeva la sua presenza.

Proprio a gennaio, però, arriva il primo vero momento di difficoltà per i ragazzi di Montella, che non a caso coincise con l’indisponibilità di Pizarro. Il regista cileno si infortunò alla caviglia nella partita persa in casa contro il Pescara, alla ripresa dalla sosta natalizia. Iniziò così un mese nero per la Fiorentina, che non riuscì mai a trovare gli equilibri giusti, mettendo a segno un solo punto in quattro partite, un 1-1 contro il Napoli – a Roncaglia, che dalla lunga distanza colse impreparato Morgan De Sanctis, rispose per gli azzurri il solito Cavani. In mezzo ci fu anche l’eliminazione dalla Coppa Italia, dopo 120 minuti parecchio dispendiosi contro la Roma, che passò con il gol nel primo tempo supplementare di Mattia Destro.

Questo sarà destinato ad essere il problema eterno della Fiorentina di Montella: nessun giocatore riuscirà mai veramente a fare da controfigura a uno dei tre titolari del centrocampo. Borja Valero-Pizarro-Aquilani era l’unico mantra da cui Montella non poteva prescindere. In quella stagione furono tanti i centrocampisti che non riuscirono a convincere il mister, come Rubén Olivera, Giulio Migliaccio e Momo Sissoko. Persino Cristian Llama, pupillo di Montella dai tempi del Catania, giocherà pochissimo. L’unica eccezione era data dall’apporto quasi sempre positivo di Mati Fernández, quando chiamato in causa.

A febbraio tornò finalmente disponibile Pizarro e la Fiorentina riprese la sua corsa. La prima vittoria del 2013 fu un 2-0 contro il Parma, ma la vera svolta arrivò contro l’Inter, con il 4-1 rifilato alla formazione di Stramaccioni con doppietta di Stevan Jovetić e Adem Ljajić. L’esplosione di quest’ultimo permise finalmente a Montella di poter utilizzare un 4-3-3 più puro, trovando nel serbo la sua ala sinistra.

A marzo la Fiorentina batte anche la Lazio all’Olimpico in un importantissimo scontro diretto per l’Europa con il risultato di 0-2. Il primo gol nasce da una splendida combinazione di squadra, che dimostra come gli uomini di Montella giocassero ormai a memoria: Ljajić da sinistra si accentra per servire Borja Valero, che in qualche modo percepisce l’arrivo di Jovetić alle spalle e con un velo fa sì che il pallone arrivi all’attaccante montenegrino, che spiazza Marchetti tirando alla sinistra di quest’ultimo; lo stesso Ljajić chiude poi la partita con una splendida punizione. I viola batterono successivamente anche il Genoa, facendo apparire in maniera più chiara come i giocatori e l’allenatore non intendessero accontentarsi dell’Europa League.

Dopo un inaspettato KO a Cagliari in cui si fece sentire l’assenza per squalifica di Borja Valero, si arrivò a un infuocato scontro a Firenze con il Milan, che sembrò essere l’ultimo treno utile per i Viola per la qualificazione ai preliminari di Champions, con i rossoneri distanti sei punti e Juve e Napoli ormai troppo avanti.

Il Milan si trovava però in un momento completamente diverso rispetto all’andata: ha ritrovato l’organizzazione e l’efficacia che ci si aspettano da una squadra di Max Allegri. Al 14’ arriva la beffa delle beffe, un gol che gela l’intero stadio Artemio Franchi, segnato dal grande ex, Riccardo Montolivo, su una palla persa dal suo “erede” Pizarro. Sul finire del primo tempo, l’espulsione di Tomović per una gomitata su El Shaarawy complica ulteriormente i piani di Montella. Al raddoppio di un redivivo Mathieu Flamini, su assist proprio di Montolivo, rispondono però i due rigori segnati da Ljajić e Pizarro, che permettono alla Fiorentina di pareggiare per 2-2. La Viola conservò così qualche piccola speranza di raggiungere il terzo posto – visto anche il vantaggio negli scontri diretti – ma soprattutto dimostrò di aver fatto passi avanti anche nel carattere, sapendo riprendere una partita che sembrava totalmente compromessa.

Sia i rossoneri che i viola sbagliano poco fino alla fine del campionato, ma a tre giornate dalla fine, forse per uno strano scherzo del destino, Montella incassò la terza sconfitta in tre partite contro la “sua” Roma. La Fiorentina e Montella devono accontentarsi del quarto posto, eguagliando il miglior risultato del nuovo millennio – in quel momento valido soltanto per la qualificazione in Europa League, competizione nella quale dovrà peraltro passare attraverso i play-off, dato che ad accedervi direttamente è la Lazio di Petković tramite la conquista della storica Coppa Italia vinta in finale contro la Roma.


La Fiorentina di Vincenzo Montella – Stagione 2013/2014

Nell’estate del 2013 la Fiorentina piazza un colpo che in realtà fu un messaggio per le dirette concorrenti. L’arrivo di Mario Gómez dal Bayern Monaco campione d’Europa in carica comunicò chiaramente che la Fiorentina non voleva essere più solamente la squadra che gioca bene e diverte, ma che intendeva assaltare i primissimi posti della classifica e vincere. La Viola scommise inoltre su Josip Iličić e su un giovanissimo Ante Rebić, che faticherà a entrare negli schemi di Montella, mentre salutano Firenze Jovetić, Toni e Ljajić, oltre a Viviano, con Neto promosso a portiere titolare. Rientrato dal prestito al Genoa, troverà inaspettatamente spazio anche Juan Manuel Vargas, che sembrava essere un esubero.

In questo suo secondo anno al timone della Viola, Montella si trovò a fare i conti con l’impegno europeo. Questo rappresentava una novità, almeno nella sua carriera da allenatore, e quindi anche una nuova sfida da affrontare.

Questa difficoltà si evidenziò fin da subito, con la sua squadra che rischiò di fermarsi già ai play-off di Europa League nella doppia sfida contro il modesto Grasshoppers. Dopo la vittoria dell’andata per 1-2 al Letzigrund Stadion, con in mezzo il primo successo in campionato contro il Catania, una Fiorentina in una condizione fisica non ottimale andò vicina al tracollo al Franchi. Gli svizzeri si imposero con il gol di Ben Khalifa: la Fiorentina passò soltanto grazie alla regola dei gol in trasferta.

I viola fecero poi registrare uno spettacolare 2-5 al Ferraris contro il Genoa, prima di un brutto infortunio di Gómez che costrinse Montella a rivedere i piani per la sua squadra, con Rossi che diventò il terminale offensivo. La Fiorentina arrivò alla prima sosta stagionale provata dal doppio impegno, con zero vittorie nelle tre partite precedenti di campionato e con la temibile Juventus di Antonio Conte da affrontare al rientro.

Il primo tempo di Fiorentina-Juventus si svolse secondo il copione previsto da Conte, con i ragazzi di Montella che provarono a fare la partita e i bianconeri che non sbagliavano nulla in fase difensiva, mettendo in difficoltà i toscani con ripartenze fulminee. Nel finale di primo tempo Tévez si procura e realizza un calcio di rigore, poi Pogba sfrutta un’incomprensione tra Cuadrado e Neto.

Nel secondo tempo Montella ebbe l’intuizione della vita, facendo entrare Joaquín, uno dei nuovi arrivi dell’estate, al posto di Aquilani, ex della partita. La Fiorentina passa così a una sorta di 4-4-2 in cui Cuadrado si sposta a sinistra, e con il nuovo entrato sull’altra fascia, vince quasi ogni duello contro i dirimpettai Padoin e Asamoah, autori di un secondo tempo da horror. L’attacco, senza una vera prima punta, era retto da Mati Fernández e Giuseppe Rossi, che con i loro movimenti riuscirono a mettere in difficoltà i tre centrali della Juve – la storica BBC – proprio perché non danno punti di riferimento agli avversari.

Neto si fa perdonare salvando il possibile 0-3 di Pirlo su punizione, poi proprio Mati Fernández si procura il rigore che riporta in partita la Viola, con Rossi che spiazza Buffon dal dischetto. Lo stesso attaccante italoamericano raddoppia dal limite dell’area, con un tiro su cui Buffon poteva fare certamente meglio. A quel punto il film della partita si ribalta completamente: la Juve si sbilancia ed è la Fiorentina a essere letale con le ripartenze. In una di esse Borja Valero pesca Joaquín completamente solo e libero di battere a rete per il 3-2 viola. Passano appena due minuti e ne arriva un’altra, iniziata – neanche a dirlo – da Borja Valero, rifinita da Cuadrado e finalizzata da Rossi, che porta il pallone a casa. È 4-2 per la Fiorentina.

Col senno di poi, si può dire che quella partita illuse i tifosi viola di poter ambire a traguardi ancora più importanti, ma anche i tifosi italiani di aver ritrovato un giocatore prezioso per la Nazionale, che ormai stava imparando a destreggiarsi anche nel ruolo di prima punta. Purtroppo però, non successe nulla di tutto questo, dato che i problemi fisici avrebbero ricominciato a tormentarlo di lì a poco. Qualche tempo dopo, tra l’altro, Conte dirà di aver tratto la linfa vitale per la sua Juve da record – 102 punti in campionato – proprio da quella sconfitta, rispondendo beffardamente a chi pensava che quella rimonta subita potesse essere il preludio alla fine dell’egemonia della Juve. Nulla però può cancellare il ricordo di quella serata da sogno allo stadio Franchi.

Nel frattempo, in campo continentale, la Fiorentina è protagonista di un percorso interessante in Europa League, dimostrando anche più “leggerezza” rispetto alle partite di campionato, dove qualche squadra di troppo riesce a trovare le giuste contromosse. Superato con ben 16 punti su 18 a disposizione il girone, elimina senza troppe difficoltà anche i danesi dell’Esbjerg nei sedicesimi di finale.

Agli ottavi il sorteggio propone nuovamente la sfida più sentita dai tifosi della Fiorentina: lo scontro tutto italiano con la Juventus – che era arrivata terza nel proprio girone di Champions, essendosi impantanata nel fango di Istanbul. All’andata allo Stadium i bianconeri partono forte e trovano il vantaggio già al terzo minuto con Vidal. Nella ripresa la Fiorentina riprende campo e pareggia con Gómez su un lancio in profondità dalla lunga distanza di Iličić. L’inerzia sembra quindi tutta dalla parte viola, con il ritorno da giocare al Franchi e con un Gómez finalmente ritrovato, dopo l’infortunio e qualche partita in cui era sembrato troppo estraneo alla manovra.

Il match di ritorno sembra scivolare verso uno 0-0 che premierebbe la Fiorentina in virtù della regola dei gol in trasferta, ma a venti minuti dalla fine Gonzalo Rodríguez atterra Llorente al limite dell’area. Il cartellino rosso – diretto, pur essendo il giocatore già ammonito – non è neanche il provvedimento peggiore, perché concedere un calcio piazzato da quella posizione a una squadra che ha in campo Andrea Pirlo è un’ingenuità da non commettere mai. Il seguito è praticamente già scritto. Non è la solita Maledetta, anche se il soprannome sembrerebbe appropriato per il momento che vivono i tifosi della Fiorentina, ma un tiro potente e preciso che si insacca all’angolino alto alla sinistra di Neto, decretando il passaggio del turno per i bianconeri.

In campionato anche nel 2014 la Fiorentina mette al sicuro un posto in Europa, ma non c’è nulla da fare per la qualificazione in Champions League, con i primi tre posti saldamente occupati da altrettante squadre: oltre alla Juve di Conte, si stabilizzano negli altri due posti Champions la Roma di García – in grado di sorprendere tutti al primo anno in Italia – e il Napoli di Benítez, meno solido di quello di Mazzarri, ma che a tratti diventa una vera macchina da gol.

Lo spartiacque, in negativo, per i viola può essere individuato nella trasferta di Parma, pareggiata per 2-2 e con un finale convulso in cui Borja Valero viene espulso e squalificato per quattro giornate, poi ridotte a tre, per un battibecco con l’arbitro Gervasoni. Il centrocampista spagnolo aveva saltato anche la gara precedente, persa in casa con l’Inter per 1-2. Ancora una volta, quindi, esattamente come era successo l’anno prima con Pizarro, la squadra va in crisi in seguito all’assenza di una delle pedine principali del centrocampo di Montella.

La Fiorentina va comunque a un passo dalla conquista del primo trofeo dai tempi della rifondazione, arrivando in finale di Coppa Italia, competizione giocata con l’atteggiamento di chi vuole diventare finalmente una squadra vincente. La squadra supera senza difficoltà il Chievo agli ottavi, poi con qualche brivido si libera del Siena ai quarti – in un derby infuocato, nonostante la categoria di differenza –, e infine batte l’Udinese in semifinale – ribaltando il 2-1 dell’andata in Friuli con un 2-0 firmato dagli esterni Joaquín e Cuadrado.

In una serata romana purtroppo funestata da eventi che nulla hanno a che vedere con il calcio, ma con la decisione – parecchio discutibile – di disputare comunque la partita, Montella non riesce ad avere ragione su un Re di Coppe come Benítez. La Fiorentina va in difficoltà soprattutto sulla sua fascia destra, dove Tomović e Vargas non riescono a contenere i movimenti in velocità di Hamšík e Insigne, quest’ultimo autore della doppietta che indirizza fin da subito il match. Vargas salva la sua prestazione segnando il gol che rimette in partita la Fiorentina, prima dell’1-3 finale firmato Mertens.

Alla Fiorentina iniziano così a essere affibbiate fastidiose etichette, come quella di squadra “bella ma non vincente”, giudizi che sembrano troppo severi se pensiamo che in realtà la stagione si conclude con la conferma del quarto posto dell’anno precedente, nonostante gli impegni europei e i continui infortuni che hanno privato Montella del tandem offensivo Rossi-Gómez per gran parte della stagione.


La Fiorentina di Vincenzo Montella – Stagione 2014/2015

Dopo l’ottima stagione dell’anno precedente, ancora una volta la società e Montella scelgono di non stravolgere l’assetto della squadra. Le modifiche più sostanziose si hanno nel reparto difensivo: fuori Roncaglia e Compper, dentro José Basanta e Micah Richards.

I due veri “acquisti” della stagione si rivelano essere i rientri dai prestiti di Bernardeschi e Babacar, reduci da stagioni da protagonisti assoluti in Serie B, rispettivamente con Crotone e Modena, oltre al terzino Marcos Alonso, che si alternerà con Pasqual sulla fascia sinistra. Rossi però si infortuna nuovamente e sarà assente per tutta la stagione.

In campionato la Fiorentina parte molto male, con una sola vittoria nelle prime cinque partite. Nonostante l’ottimo lavoro svolto nei due anni precedenti, iniziano a nascere dei mugugni da parte della tifoseria all’indirizzo di Montella. Da una parte c’è chi gli contesta la troppa fiducia concessa a Gómez, dall’altra chi invece sostiene che dovrebbe modificare il suo sistema per favorire le caratteristiche del panzer tedesco, non adatte a un gioco in velocità con la palla a terra.

Ancora una volta, però, la Fiorentina sembra ritrovare brillantezza e spensieratezza nelle sfide europee. Il girone di Europa League viene nuovamente superato senza problemi, con due partite in anticipo. Decisiva per la matematica certezza è la punizione con cui Pasqual rimette in parità la gara interna contro il PAOK al minuto 88, partita in cui la Fiorentina era passata incredibilmente in svantaggio dopo una serie infinita di occasioni sprecate.

A gennaio risulta però evidente che qualcosa va cambiato. La squadra è diventata troppo prevedibile, i giovani Bernardeschi e Babacar non riescono a fornire, o almeno non da soli, l’apporto di gol che manca per l’infortunio di Rossi, le difficoltà di Gomez e la discontinuità di Iličić. La società mette in atto uno scambio di prestiti con il Chelsea: fuori un demotivato Cuadrado e dentro Mohamed Salah, finito ai margini del progetto di José Mourinho.

L’impatto dell’egiziano in Serie A è devastante. Le sue accelerazioni e le progressioni palla al piede mettono in difficoltà tutte le difese avversarie. Come se non bastasse, si dimostra anche il partner ideale per Gómez, che in quella mezza stagione vivrà il suo miglior periodo fiorentino. Infatti, Salah riesce spesso ad attrarre i difensori per liberargli spazio e a sfruttare le sponde del tedesco per partire in velocità, come in occasione del gol contro la Sampdoria.

Alla Fiorentina non bastano i 34 punti nel ritorno, che ne fanno la terza migliore squadra nel girone, e le vittorie contro Inter – battuta due volte in campionato – e Milan per andare in Champions. A conti fatti, pesa tantissimo la débâcle contro la Lazio di Pioli, vincente per 4-0 all’Olimpico, che arriverà sorprendentemente al terzo posto.

La strada nelle coppe si fermerà invece per due volte in semifinale. In Coppa Italia, all’illusoria doppietta di Salah allo Juventus Stadium, dove la Viola esce vincente con il risultato di 1-2, la Vecchia Signora risponde con un secco 3-0 al Franchi, alimentando un tabù che dura tuttora: la Fiorentina non ha mai passato il turno contro la Juventus in una gara a eliminazione diretta dagli anni Ottanta ad oggi.

In Europa League, dopo un ottimo percorso che li ha visti eliminare Tottenham, Roma e Dinamo Kiev, l’ostacolo Siviglia si rivela troppo grande. Cinque reti a zero tra andata e ritorno non ammettono repliche. La Fiorentina crea qualche palla gol, ma il giovane portiere andaluso Sergio Rico si dimostra insuperabile. Inoltre è proprio il centrocampo, da sempre punto di forza della squadra, a soffrire terribilmente, tanto che Borja Valero esce tra i fischi nella gara di ritorno al Franchi.

Fu uno dei segnali che fecero capire in maniera inequivocabile che il ciclo di Montella si stesse avviando alla conclusione. Nonostante la stagione non potesse definirsi negativa in senso assoluto, era chiaro che questa bella storia stesse per finire.


Fiorentina da una parte, Montella dall’altra

Vincenzo Montella impiegò qualche mese per trovare una nuova panchina. Fece ritorno in una squadra che lo aveva visto protagonista da calciatore, la Sampdoria, al posto dell’esonerato Walter Zenga. I blucerchiati stavano però vivendo una stagione complicata, in cui sembravano non riprendersi mai del tutto dall’inaspettato tonfo ai preliminari di Europa League contro il Vojvodina. La svolta non arrivò e Montella ottenne solo la salvezza.

L’anno successivo fu ingaggiato dal Milan e si rese protagonista di un ottimo girone d’andata, culminato con la vittoria della Supercoppa Italiana contro la Juventus a Doha. Dopo 120 minuti di totale equilibrio, i tiri di rigore – di Pašalić quello decisivo – consegnarono finalmente il primo trofeo da allenatore a Montella. Il girone di ritorno vide però un calo del Milan, che finì al sesto posto in classifica.

Nonostante una campagna acquisti – almeno sulla carta – stellare nell’estate 2017 che vide, tra gli altri, gli arrivi di Bonucci, Çalhanoğlu e Kessié, Montella non riuscì mai a trovare la quadra in tutta la stagione successiva. La squadra non riuscì mai a rispettare le attese, forse esagerate, dell’estate precedente, rivelandosi incredibilmente fragile soprattutto nel reparto arretrato, dove Bonucci e Romagnoli faticarono a trovare l’intesa giusta. Montella fu esonerato in favore di Gattuso, riuscendo però subito a trovare una nuova squadra, il Siviglia, che lo scelse in sostituzione di Eduardo Berizzo. Nonostante qualche risultato memorabile – su tutti la vittoria a Old Trafford ai danni del Manchester United di Mourinho per il passaggio ai quarti di Champions – la sua avventura in terra andalusa durò solo quattro mesi.

Intanto, nel dopo-Montella, la Fiorentina attraversò un periodo di lenta ma inesorabile crisi, tanto che il punteggio finale della squadra in campionato si abbassò ogni anno, a partire da quel momento fino al 2019.

Paulo Sousa, dopo un inizio entusiasmante, non arrivò oltre il quinto posto nel 2015/2016 e finì fuori dall’Europa al secondo anno. La Fiorentina si affidò quindi a Stefano Pioli, ma anche l’attuale tecnico del Milan – in una stagione segnata dalla tragica scomparsa di Davide Astori – finì fuori dalle coppe.

Il mese di aprile del 2019, complice una serie di risultati negativi, portò all’esonero del tecnico emiliano. Al suo posto fu richiamato proprio Vincenzo Montella, che tornò in riva all’Arno dopo quasi quattro anni.

La Fiorentina del 2019 era però una parente molto lontana di quella del triennio di Montella, una minestra riscaldata che non fece altro che rovinare un ricordo fantastico. Le mezze ali Gerson e Dabo si rivelarono completamente inadatte all’idea di calcio del tecnico. Nel reparto offensivo, Simeone e un appesantito Luis Muriel – quello precedente alla cura Gasperini – non segnarono neanche un gol in campionato.

Montella non trovò neanche una vittoria fino al termine della stagione, uscì in semifinale di Coppa Italia per mano dell’Atalanta – con due gol di giocatori da lui allenati in passato come Iličić e il Papu Gómez – e salvò la squadra da una clamorosa retrocessione in B soltanto all’ultima giornata, al termine di un Fiorentina-Genoa finito 0-0 così desolante da far pensare che nessuna delle due squadre volesse davvero “fare del male” all’altra, con l’Empoli a farne le spese.

Nell’estate 2019 la nuova proprietà riportò entusiasmo a Firenze. Rocco Commisso rivoluzionò la squadra piazzando, tra gli altri, il colpo Ribéry. Le cose però non migliorarono per Montella. Dopo un periodo brillante tra settembre e ottobre, con anche una vittoria con il Milan a San Siro per 1-3 che sembrava presentare un interessante parallelo storico con la prima stagione di Montella in viola, la squadra accusò un vistoso calo e a pagare per tutti, come sempre accade nel calcio, fu l’allenatore.

Pur non essendo stati quattro mesi particolarmente esaltanti, Montella ebbe il merito di lanciare stabilmente in prima squadra il diciannovenne Dušan Vlahović e di concedere spazio a giovani come Lorenzo Venuti e Gaetano Castrovilli. Commisso preferì comunque non rischiare il baratro e si affidò a uno specialista di salvezze come Beppe Iachini, che infatti avrebbe condotto la Fiorentina tranquillamente a metà classifica per due campionati, con in mezzo un Prandelli-bis da novembre 2020 a marzo 2021.

Si arriva così alla stagione 2021/2022, in cui Montella viene ingaggiato dai turchi dell’Adana Demirspor, squadra neopromossa che risulterà essere la rivelazione del torneo, grazie anche ad alcune vecchie conoscenze del calcio italiano come Lucas Castro, Birkir Bjarnason e Gökhan Inler, capitano della squadra, e soprattutto grazie a un ritrovato Mario Balotelli.

Intanto la Fiorentina, dopo cinque anni di assenza dalle coppe europee, è riuscita a conquistare il settimo posto in classifica e l’accesso alla Conference League, grazie ad una programmazione finalmente degna di tal nome e ad un allenatore che ha dato un’identità forte alla squadra, che ora pratica un calcio tanto divertente quanto efficace. Così come Montella, anche Vincenzo Italiano è riuscito a prendere una squadra reduce da un tredicesimo posto e a portarla in Europa.

Dopo anni e anni di errori e di scelte sbagliate o sfortunate da parte di entrambi, era forse destino che Vincenzo Montella e la Fiorentina tornassero a sorridere insieme, ritrovando almeno apparentemente la propria strada, sebbene a quasi 3.000 chilometri di distanza.

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