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L’Italia di Ventura, cronaca di una disfatta annunciata

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Quella dell’Italia di Gian Piero Ventura è una storia che vorremmo a tutti i costi rimuovere dai nostri ricordi, ma è importante riprendere quegli eventi, tentando di analizzarli a freddo, anche se si tratta di una ferita indelebile nei cuori dei tifosi italiani. Per raccontare l’anno e mezzo più buio della storia della nostra Nazionale, occorre però partire da molto più indietro. Sì, perché paradossalmente il peccato originale dell’Italia di Ventura fu commesso quando non era Ventura ad allenare gli Azzurri.


Gli antefatti

Tutto iniziò a Ginevra nel 2015, quando l’Italia perse con un Portogallo orfano di Cristiano Ronaldo, finendo fuori dalle teste di serie per il sorteggio del Mondiale di Russia. Decise un gol di Éder, che ovviamente non è l’italo-brasiliano ex-Sampdoria e Inter, ma l’attaccante portoghese dalle lunghe trecce che avrebbe poi deciso anche la finale dell’Europeo, l’anno successivo contro la Francia. In panchina sedeva Antonio Conte, il quale rispose stizzito alle provocazioni dei giornalisti incolpando chi c’era prima di lui. Questo, unito ai deludenti risultati degli ultimi due Mondiali, fu un segnale inequivocabile di un ricambio generazionale mai avvenuto e di una Nazionale ancora troppo legata ai fasti del 2006, e che inevitabilmente aveva perso valori tecnici importanti ed era scesa terribilmente nel ranking. Non bastava la cavalcata europea del 2012 fino alla finale, le sconfitte erano state veramente troppe in quei nove anni. Il sorteggio dei gironi fu impietoso per l’Italia, che venne abbinata a quella Spagna che solo pochi anni prima aveva vinto tutto ciò che si poteva vincere, compreso l’Europeo poc’anzi citato.

Euro 2016 sembrava averci fatto dimenticare tutto questo, ridandoci un’Italia vera, che lottava e che poteva giocarsela con tutte, pur avendo un tasso tecnico inferiore alle grandi Nazionali del momento. Fu dopo questa manifestazione che ebbe inizio l’era di Gian Piero Ventura alla guida dell’Italia, anche se il suo nome come successore di Antonio Conte era già stato annunciato a giugno, dato l’addio preventivato del tecnico leccese.

Il primo anno di Ventura

Pronti, via e per questa nuova Italia iniziano già i problemi. Dopo la sconfitta all’esordio nell’amichevole a Bari con la Francia, si iniziò già a parlare di quanto avremmo dovuto penare per qualificarci ai Mondiali di Russia, qualcosa che in passato era sempre praticamente scontata. Cominciavano già a comparire i primi titoli ad effetto, che nutrivano dubbi sull’operato del CT – il gioco di parole ‘Sventura‘ era fin troppo semplice –, eppure, il girone di qualificazione non era neanche cominciato.

All’esordio ad Haifa, l’Italia vinse per 1-3 contro Israele, ma poi arrivò il pareggio in casa con la Spagna per 1-1, in una partita decisa da due episodi – una papera di Buffon e un rigore realizzato da De Rossi – e che non consentiva nessun margine di errore nelle partite successive, anche perché la squadra di Julen Lopetegui non sbagliava un colpo e manteneva sempre una differenza reti migliore di quella degli Azzurri, grazie soprattutto all’8-0 rifilato al Liechtenstein alla prima uscita.

La vittoria in rimonta con la Macedonia per 2-3 a Skopje è emblematica di un’Italia non spumeggiante, ma che portava a casa le partite in un modo o nell’altro. Seguirono altre quattro vittorie consecutive, l’ultima delle quali a Udine contro il Liechtenstein, in cui i “soli” cinque gol segnati lasciavano un solo risultato utile per la successiva partita a Madrid: la vittoria. La Spagna era infatti avanti per la differenza reti e avrebbe certamente mantenuto questo distacco.

Spagna-Italia, l’inizio di due mesi di agonia

Il 2 settembre 2017 fu il giorno di Spagna-Italia e quella del Bernabéu fu una non-partita. Il divario tecnico-tattico tra le due squadre fu imbarazzante, forse ancora più di quanto il risultato di 3-0 possa raccontare. Già a pochi secondi dal fischio d’inizio si poteva intuire quale sarebbe stato il risultato finale.

Nei giorni successivi, nel Bel Paese si respirava un clima di sconforto, di rabbia e di ricerca del colpevole, che ovviamente non aiutò la Nazionale a risollevarsi. Come sempre accade in queste situazioni, il primo a finire sul banco degli imputati fu l’allenatore. Mister Ventura fu giudicato, senza troppi giri di parole, inadeguato a ricoprire il ruolo di CT dell’Italia affidatogli dal presidente della FIGC Carlo Tavecchio – che a sua volta si ritrovò inevitabilmente bersagliato dalle critiche –, e i giocatori non se la passavano meglio. I più aspramente criticati furono Gigi Buffon, divenuto simbolo del mancato ricambio generazionale post-2006, Marco Verratti, accusato di essere un’eterna promessa, e soprattutto Lorenzo Insigne, reo di aver “profanato” la maglia numero 10 appartenuta a campioni come Baggio, Del Piero e Totti.

Si cercava il colpevole come se il disastro fosse già avvenuto, come se non ci fosse più tempo per rimediare, ma non era così. In caso di seconda posizione nel girone, la qualificazione sarebbe passata attraverso i play-off e i nomi delle possibili squadre avversarie sembravano tutti abbordabili per l’Italia, che aveva ancora due mesi per rimettere a posto certi meccanismi. Ma con un’atmosfera simile, i play-off sarebbero diventati una disfatta già da tempo annunciata.

Le critiche furono davvero impietose, ma ci si aspettava che i calciatori di una Nazionale sapessero trasformarle in energia positiva. Niente di tutto questo. Non ci fu un esonero di Ventura ma neanche un messaggio forte di conferma da parte di Tavecchio, come se nulla stesse accadendo. Nessun giocatore provò a prendere in mano la squadra e trascinarla alla qualificazione. Ventura, neanche a dirlo, non riuscì a dare un cambio di rotta. Per di più, a sentire le sue parole sembrava che stesse andando tutto per il verso giusto. Sembrava quasi che tutti si impegnassero per non invertire l’inerzia. Come se loro, proprio i responsabili del disastro che si stava consumando, fossero gli unici a non accorgersi di ciò che stava accadendo, forse convinti che con il nome “Italia” la partecipazione ai Mondiali si ottenesse di diritto.

La vittoria per 1-0 contro Israele non placò gli animi, anzi forse illuse ulteriormente i ragazzi e il mister, ma la realtà diceva tutt’altro, e la prova di tutto ciò arrivò a ottobre con il pareggio per 1-1 con la Macedonia, gara nella quale la squadra di Ventura venne punita al minuto 77 da Aleksandar Trajkovski, che all’epoca giocava in Italia, ma in Serie B. Dopo l’ennesima vittoria di misura, stavolta con l’Albania, arrivò il momento dei sorteggi, ma ormai era chiaro a quel punto che ai play-off, ormai matematici, sarebbe servita tutta un’altra Italia.


Italia-Svezia, la caduta definitiva

L’abbinamento con la Svezia stuzzicò i tifosi azzurri, data la possibilità di vendicarsi del “biscotto” dell’Europeo 2004, forse il sorteggio migliore per caricare una Nazione ormai troppo delusa da quella squadra. Ventura e i suoi avevano quindi una chance per farsi perdonare con gli interessi. Leggendo i nomi dei giocatori della Svezia, figurava sicuramente qualche buon giocatore – Emil Forsberg del Lipsia su tutti –, ma sembrava un doppio confronto tutto sommato abbordabile.

La gara di andata a Solna fu una partita strana. Dopo un primo tempo equilibrato, nella ripresa furono gli Azzurri a iniziare meglio, pur senza creare grosse occasioni. Poi accadde l’imponderabile: la Svezia riuscì a trovare il gol in maniera rocambolesca sugli sviluppi di una rimessa laterale. Il giustiziere dell’Italia si chiama Jakob Johansson, un nome che è stato quasi dimenticato negli anni, forse per l’infortunio nella gara di Milano che gli ha impedito di partecipare a Russia 2018, o forse per la sensazione che l’Italia si fosse fatta gol da sola.

Il linguaggio del corpo tradiva una rabbia sconsiderata nei ragazzi ma soprattutto in Ventura, che a quel punto, e solo a quel punto, iniziavano a capire che il baratro era davvero vicino. Con loro anche Tavecchio, furioso nel post-partita agli indirizzi dell’arbitro Çakır. C’erano ancora 90 minuti più recupero per evitare di completare questa discesa negli Inferi, ma la strada era ormai tracciata.

Nella gara di ritorno del 13 novembre, in un San Siro stracolmo, Ventura giocò la carta Jorginho. Dopo qualche tentennamento iniziale, l’italo-brasiliano amministrò per bene il centrocampo degli Azzurri, ma al limite dell’area, come già accaduto a Solna, la manovra finiva però per incepparsi. Contro gli strutturati difensori svedesi, le carte tattiche giocate dall’Italia di Ventura non riuscirono proprio a funzionare, e anzi sembrava quasi esaltassero le caratteristiche degli avversari. Più che il gol di Johansson, infatti, è rimasta nell’immaginario comune la prestazione perfetta, nell’intero doppio confronto, di Andreas Granqvist, capace di annullare completamente l’ex compagno di squadra Ciro Immobile e di far vivere al proprio portiere Robin Olsen 180 minuti di ordinaria amministrazione.

L’immagine che fotografa la confusione, il panico e la conseguente e inevitabile disfatta di Ventura e di tutta la Nazionale è quella proveniente dalla panchina azzurra negli ultimi minuti del secondo tempo, con Daniele De Rossi che rifiuta di entrare in campo, consigliando di dare invece spazio a un giocatore più offensivo come Lorenzo Insigne, dato il perseverante 0-0.

Ma ormai era finita, la confusione e il panico fecero spazio alle lacrime e alla disperazione, 60 anni dopo la prima e fino a quel momento ultima volta, l’Italia – che di Mondiali ne ha vinti 4 – non riesce a qualificarsi alla massima competizione calcistica.

Nel bacio di Florenzi all’ultimo pallone della gara c’è tutta la triste e ingenua speranza di una generazione tradita da un intero sistema calcistico, incapace di rinnovarsi dai fasti degli anni Ottanta e Novanta, con quel Mondiale del 2006 come vero e proprio canto del cigno di un movimento destinato a crollare.


Il dopo Ventura

Neanche l’evidenza più pura, neanche il disastro prima annunciato e poi avvenuto, spinse i responsabili a dichiarare le proprie colpe. Fuori dal campo, l’Italia riuscì nell’impresa di fare peggio che in campo, perché dopo aver toccato il fondo si può sempre scavare.

Ventura, da cui tutti si aspettavano le dimissioni già nel post-partita, non ammise mai completamente le proprie colpe. Per di più, in un servizio del programma ‘Le Iene‘, vantò di avere, statistiche alla mano, «uno dei migliori score degli ultimi 40 anni». Venne sollevato dall’incarico due giorni dopo. Tavecchio, invece, resistette fino al 20 novembre, quando si vide costretto a dare le dimissioni, lanciando un’accusa di «sciacallaggio politico», probabilmente ai danni del presidente del CONI Giovanni Malagò. Gli subentrò Roberto Fabbricini come commissario straordinario, che avrebbe poi lasciato il posto a Gabriele Gravina. Era iniziato così un periodo surreale in cui, di fatto, l’Italia non aveva una Nazionale.

Dopo le due amichevoli di marzo 2018 sotto la guida di Gigi Di Biagio, l’Italia trovò finalmente l’uomo della rinascita: si tratta di Roberto Mancini, che con coraggio, idee e tanta qualità ha riportato entusiasmo e risultati ad una Nazionale che prima del suo arrivo aveva toccato il punto più basso della propria storia.

Ad oggi, però, sembra sia solamente lui – e chi lavora strettamente con lui – ad aver trascinato la zattera Italia fuori dal pantano in cui era finita, grazie a una rivoluzione di certo avvenuta dal punto di vista sportivo, ma che da quello sistemico ha visto davvero pochissimi passi decisi in avanti, motivo per il quale, probabilmente, dalla disfatta di Ventura e di tutto il sistema calcistico italiano, non abbiamo ancora appreso la lezione.

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