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È stata la mano di Dio, la vendetta di Maradona

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«Con la mano, quello lì ha segnato con la mano. Ha vendicato il grande Popolo Argentino vessato dall’ignobile aggressione imperialista alle Malvinas. È un genio, è un atto politico, è la rivoluzione. Li ha umiliati, capisci?». Con queste parole zio Alfredo, uno dei personaggi di ‘È stata la mano di Dio‘, commenta con Fabio, protagonista del film e incarnazione dello stesso regista premio Oscar Paolo Sorrentino, il gol appena segnato da Maradona nella gara contro l’Inghilterra valevole per i Mondiali messicani del 1986.


La questione delle Malvinas

L’evento bellico che vide contrapposti Argentina e Regno Unito per il controllo e il possesso delle isole Falkland, un arcipelago sudamericano bagnato dall’oceano Atlantico, avvenne tra i mesi di aprile e giugno dell’anno 1982. Lo scontro iniziò storicamente il 2 aprile, quando i reparti dell’esercito argentino cominciarono l’invasione delle isole Falkland, un territorio composto dai tre arcipelaghi: le Falkland propriamente dette, le Georgia del Sud, e le isole Sandwich meridionali.

Gli inglesi occuparono il territorio nel 1833, espellendo i militari argentini e governandolo dalla data dell’invasione. Fin dagli inizi dell’Ottocento, la componente principale della popolazione è britannica e più specificamente di bandiera scozzese. Ma gli argentini non hanno mai smesso di rivendicare le Falkland, che chiamano Malvinas. Nel 1982 il generale argentino Leopoldo Galtieri, a capo della giunta militare insediatasi a Buenos Aires, decise di invadere militarmente gli arcipelaghi per ristabilire una volta per tutte il dominio dell’Argentina. La decisione fu figlia di una grave crisi economica che inevitabilmente portò allo scontento la popolazione. La guerra – si pensava – avrebbe distratto gli argentini e risvegliato i loro sentimenti patriottici. Anche nel Regno Unito la crisi economica era acutamente sentita: erano appena stati apportati tagli importanti alle spese per la difesa, ricaduti in modo particolare sulla Royal Navy, proprio il reparto al quale sarebbe stato richiesto lo sforzo maggiore nella imminente guerra.

La pressione della giunta argentina sul governo britannico assunse inizialmente un carattere prettamente diplomatico. Alla rivendicazione dell’arcipelago fu affiancata un’intensa attività in sede ONU, che raggiunse il suo culmine nella minaccia diretta di ricorrere all’invasione. Londra non rispose, e anche questa passività contribuì a convincere la giunta che il governo britannico fosse troppo sfiduciato e concentrato su economia e politica interna, per aver conservato la volontà di combattere per le Isole Falkland. Dopotutto, a Buenos Aires si pensava che una volta che ci si fosse impadroniti militarmente delle isole, gli inglesi non avrebbero potuto che considerarlo un fait accompli.

Il 19 marzo 1982 un gruppo di pescatori argentini sbarcò nella disabitata Georgia del Sud. Subito dopo lo sbarco, però, indossarono uniformi militari e innalzarono la bandiera a bande bianco azzurre con il Sol de Mayo. Era l’apertura delle ostilità. Nelle intenzioni della giunta, questa operazione di minore entità doveva essere seguita da altre, secondo il principio che a esserne interessati sarebbero stati i tre arcipelaghi, in ordine crescente di importanza politica. Quindi, se non si fosse arrivati a un riconoscimento diplomatico della sovranità argentina, le Falkland sarebbero state invase per ultime.

Fu proprio così che si svilupparono gli eventi. Sulle isole Sandwich Meridionali, però, gli invasori si scontrarono con una forte opposizione e riuscirono a ultimarne la conquista solo il 3 aprile 1982.

I commando, primi a sbarcare, puntarono contro la caserma dei Royal Marine e contro l’abitazione del governatore, nella capitale Port Stanley. Le operazioni ebbero termine in undici ore soltanto. Insediatisi gli argentini nei tre arcipelaghi, cominciò una febbrile attività diplomatica. A grandi linee, le opinioni al Palazzo di Vetro erano divise tra chi riteneva che l’azione argentina fosse in qualche modo legittima, in quanto l’occupazione inglese aveva origine coloniale, e chi la considerava un atto di guerra inaccettabile. Si arrivò dunque allo stallo diplomatico e la parola passò definitivamente alle armi.

Anche all’interno del Regno Unito si sviluppò un dibattito piuttosto acceso sulla Guerra delle Falkland. Da una parte vi erano coloro che ritenevano inutile – oltre che pericoloso – impegnare le forze militari, ridotte dalla crisi economica, tanto lontano dalla madrepatria e per un obiettivo di limitata importanza. Dall’altra parte c’era chi riteneva necessario combattere per riaffermare l’idea dell’Impero inglese come capace di proiettare a distanza la sua forza. Prevalse quest’ultima tesi, che peraltro era quella sostenuta dal Primo Ministro, la Iron Lady Margaret Thatcher.

Presa la decisione, il Regno Unito mise in campo una poderosa forza, comprendente tredicimila uomini e oltre cento navi. A questo scopo, si “raschiò il fondo del barile”, ottenendo l’aiuto anche degli altri paesi del Commonwealth, e in particolare dell’Australia, che si assunse l’incarico di difendere aree dell’Impero rimaste sguarnite.

Se le forze in campo erano più o meno uguali, limitatamente a soldati e aviazione – la Royal Navy era nettamente superiore alla controparte argentina –, lo stesso non si poteva dire della loro qualità. L’esercito argentino, di leva, era composto prevalentemente da uomini ancora nelle prime fasi dell’addestramento, mentre gli inglesi erano militari professionisti. Gli inglesi avevano anche un sensibile vantaggio qualitativo nei mezzi a disposizione dell’aviazione, per quanto i piloti argentini rivelassero doti di aggressività e coraggio che non mancarono di suscitare ammirazione negli stessi nemici.

La sconfitta patita – che causò quasi 700 vittime – ebbe gravi conseguenze politiche in Argentina. Vennero a galla le deficienze nella pianificazione e, soprattutto, gli errori di sottovalutazione del nemico. Pochi mesi dopo si dimise il dittatore, il generale Galtieri, ed ebbe inizio il processo di democratizzazione della nazione argentina. Di contro, a Londra crebbe la popolarità di Margaret Thatcher in un momento di gravi tensioni interne. Londra concesse nuovamente agli abitanti delle Falkland lo statuto di cittadini inglesi e rafforzò il suo dispositivo militare nelle Falkland.


La vendetta di Diego

La sconfitta delle Falkland è una ferita, ancora oggi, aperta per gli argentini. Tutti, da Buenos Aires a Rosario, passando per San Miguel de Tucumán, pensano spesso alla sconfitta patita con gli inglesi. Tutti aspettano una vendetta. Tra questi c’è anche lui, il calciatore più forte del mondo, Diego Armando Maradona.

Siamo nel 1986, il Messico ospita i Mondiali di calcio, la seconda edizione nel Paese degli aztechi dopo quella del 1970 vinta dal Brasile. L’Argentina, guidata in panchina da Carlos Bilardo e in campo dal napoletano Maradona, è tra le favorite per la conquista della Coppa del Mondo, dopo il successo nell’edizione casalinga del 1978 e l’eliminazione nel secondo girone in quella del 1982. Quella costruita da Bilardo è una squadra operaia, tanti militano nel campionato nazionale, che punta tutto sulla fantasia di Maradona e sui gol di Valdano, attaccante del Real Madrid, spesso deludente con la maglia dell’Albiceleste.

Gli argentini passano agevolmente il girone da primi, sorteggiati nel Gruppo A insieme a Corea del Sud, Italia e Bulgaria. Valdano, per due volte, e Ruggeri, in appena quarantasei minuti regolano la Corea del Sud all’esordio a Città del Messico. A Puebla, Maradona risponde al gol azzurro di Altobelli dagli undici metri, mentre tornati nella capitale sono sempre Valdano e Burruchaga a regalare i due punti contro la Bulgaria.

Agli ottavi il calendario prevede il derby del Rio della Plata con l’Uruguay di Omar Borrás. Gli uruguagi sono una squadra tignosa, cattiva, che conta sulla fantasia del suo numero dieci Enzo Francescoli, stella del River Plate. Bilardo negli spogliatoi dello Stadio Cuauhtémoc sorprende tutti: sulla lavagna tattica non c’è il nome del Millonarios Enrique. Nella sua posizione, a centrocampo, viene arretrato Maradona. In attacco la sorpresa è il ventiseienne attaccante del Lecce Pedro Pasculli. Sarà proprio il numero diciassette albiceleste, reduce da una stagione deludente con i pugliesi, culminata con la retrocessione in B, a decidere dopo quarantadue minuti la gara.

Il tabellone accoppia Maradona e compagni con i rivali di sempre: l’Inghilterra. Shilton e compagni, dopo aver superato il girone a fatica con soli 3 punti grazie al successo nell’ultimo turno contro la Polonia, hanno fatto un sol boccone del Paraguay, grazie alla doppietta di Lineker e alla rete di Beardsley.

Tutti gli argentini pensano a quell’arcipelago, pensano alle Malvinas, compresi Bilardo, Diego e i suoi compagni di Nazionale, che hanno in testa un solo obiettivo: vendicare quel dolore.

Le notti che precedono la gara sono notti di riflessione per Bilardo: come si può ingabbiare gli inglesi e sopperire all’assenza di Garré, titolare in tutte le gare sino a quel momento? La scelta cade su un modulo inedito: il 3-5-1-1. Contro l’Inghilterra l’argentina schiera dunque Brown, Cuciuffo e Ruggeri davanti alla porta di Pumpido, Olarticoechea e Burruchaga larghi sulle fasce, Batista, Giusti e il rientrante Enrique in mediana, Maradona trequartista alle spalle dell’unica punta Valdano.

Sono le dodici in punto del 22 giugno 1986, quando l’arbitro tunisino Ali Bin Nasser fischia l’inizio dell’ostilità. La gara contro l’Inghilterra è molto equilibrata, e l’unico che può sparigliare le carte in tavola è lui, Maradona. È il 51′ quando Hodge sbuccia un pallone innocuo al limite dell’area, alzando un campanile. Il numero dieci argentino vede la sfera cadere perpendicolare, e anticipa l’uscita di Shilton con un beffardo tocco di mano che finisce la sua corsa in fondo al sacco. Gli argentini esultano, gli inglesi protestano, Nasser convalida la segnatura.

Altri cinque giri di lancette ed Enrique innesca Diego a centrocampo. Quel passaggio accende le gambe di Maradona, che iniziano a bruciare l’erba sotto i tacchetti delle sue Puma King e a divorare come birilli i difendenti dell’Inghilterra. Diego corre, l’Argentina tutta impazzisce guardando quella serpentina. El Pibe de Oro scarta tutti, scarta anche Shilton e dolcemente spinge il pallone in porta. È 2 a 0, è compiuta la vendetta. L’Argentina, trascinata da Maradona, ha sconfitto finalmente l’Inghilterra. Il gol di Lineker non serve a nulla, gli inglesi alzano bandiera bianca. L’Albiceleste corre verso il suo secondo successo mondiale. È stata la mano di Dio.


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