Tra i tifosi del Napoli, quando si parla di un tradimento sportivo, il primo nome che viene in mente è certamente quello di Gonzalo Higuaín. Il trasferimento dell’argentino alla Juventus nell’estate 2016 è una ferita ancora aperta nei cuori dei tifosi azzurri, che mai sono riusciti a perdonare quella scelta né la modalità con cui avvenne l’acquisto. A rendere le cose peggiori sono stati i gol dell’ex, ben 6 in 8 partite, che Higuaín ha segnato al Napoli con la maglia bianconera.
Chi ha qualche anno in più, però, ricorderà certamente ciò che successe circa quarant’anni prima, con José Altafini, il primo e originale ‘core ‘ngrato‘ – termine che riprende una canzone classica napoletana di Riccardo Coldiferro. Sebbene questa storia risalga agli anni Settanta, quando il calcio – e non solo – era completamente diverso rispetto a come lo conosciamo, vedremo che ci sono molti punti in comune, alcuni impressionanti, con le vicende recenti del Napoli e della Juve, in particolare quelle tra gli azzurri di Sarri e i bianconeri di Allegri, come se la storia ripartisse ciclicamente.
In ogni caso, la vicenda Altafini ha senz’altro contribuito a far crescere questa rivalità parecchio sentita fin dagli anni Cinquanta, anche se più dalla parte napoletana, tra le due squadre che storicamente si contendono il primato del maggior numero di tifosi nel Sud Italia.
Chi era Altafini
José João Altafini nacque il 24 luglio 1938 a Piracicaba, in Brasile, da genitori italiani. Dopo aver vinto, non ancora ventenne, il Mondiale del 1958, si trasferì in Italia, al Milan, dove si dedicò alla sua attività preferita: segnare. Furono 120 i gol segnati nelle sette stagioni in rossonero e due gli scudetti conquistati, oltre alla Coppa dei Campioni del 1963. Nel 1965, a seguito di una stagione negativa con soli 3 gol realizzati, fu ceduto al Napoli.
Dopo aver messo a referto 97 gol in 234 presenze con gli azzurri, vincendo anche una Coppa delle Alpi (1966), Altafini fu protagonista di un clamoroso trasferimento alla Juventus durante l’estate del 1972, sul quale tuttora si discute.
Il rinnovo non arrivò in alcun modo e pare che fu l’allora presidente del Napoli, Corrado Ferlaino, a metterlo alla porta, sostenendo che un calciatore così “vecchio” non potesse più rientrare nel progetto. Dopo sette anni era quindi finita l’esperienza dell’oriundo all’ombra del Vesuvio, con i bianconeri che lo prelevarono a costo zero.
Pur avendo già 34 anni, l’italo-brasiliano si rivelò parecchio efficace, soprattutto a gara in corso, per lo scudetto vinto dalla Juve l’anno successivo. Ma era solo l’inizio, i tifosi del Napoli non potevano aspettarsi cosa sarebbe successo due campionati più tardi, nel 1975.
Come giocava il Napoli nel 1975
Ai nastri di partenza del campionato, il Napoli si presentava come una delle squadre più pericolose. È vero che nei suoi quasi cinquant’anni di storia non aveva mai vinto uno scudetto, ma dopo il terzo posto dell’anno precedente e un’ottima campagna acquisti, il popolo napoletano ci credeva come non mai, anche perché Luís Vinício proponeva un calcio di ottima qualità, divertente ed efficace, ispirato al calcio totale dei Paesi Bassi, che in quel periodo stava rivoluzionando il mondo del pallone. In particolare, gli arrivi dall’Inter del difensore Tarcisio Burgnich – che in campionato avrebbe giocato tutti i 2700 minuti a disposizione – e dell’attaccante Giuseppe Massa facevano ben sperare.
Davanti a Pietro ‘Gedeone‘ Carmignani, portiere dal rendimento altalenante, ma a cui quell’anno sembrava riuscire tutto bene, giocava il ventitreenne Giuseppe Bruscolotti – difensore dalla grande forza fisica, tanto da essere soprannominato Palo ‘e fierro, e che avrebbe fatto le fortune anche del Napoli di Maradona – affiancato dai nuovi innesti Burgnich e Antonio La Palma.
Rosario Rampanti, Andrea Orlandini e Salvatore Esposito, già vincitore di uno Scudetto con la Fiorentina, facevano parte di un centrocampo che si fondava sulla figura di Antonio Juliano, capitano di lungo corso.
Per esprimere la sua centralità nel gioco degli azzurri, basta citare una frase di Gianni Brera, che descrisse così il Napoli di Vinicio: «Il suo gioco si fonda sulla regia di Juliano, al quale i devoti gregari portano palla con assoluta diligenza. Il Capitano azzurro fornisce, anche se a flebile ritmo, prestazioni stupende».
In attacco Giorgio Braglia e Beppe Massa giocavano ai lati del brasiliano Sergio Clerici: il tridente avrebbe messo a segno ben 35 gol in un campionato di sole 30 partite.
Il Napoli del 1975 – Il girone d’andata
L’inizio di campionato del Napoli confermò le buone sensazioni della vigilia, con tre vittorie e sei pareggi nelle prime nove partite, in un’epoca – quella dei due punti a vittoria – in cui non perdere era fondamentale. Nelle prime giornate fu però la Lazio, reduce dal titolo di Campione d’Italia, a conquistare la testa della classifica.
A dicembre arrivarono i primi inciampi: prima una dolorosa eliminazione in Coppa UEFA contro i cecoslovacchi del Baník Ostrava, e subito dopo la prima sconfitta in campionato, una disfatta senza precedenti nello scontro diretto contro la Juventus. Il punteggio finale recitava 2-6 in favore dei bianconeri allenati da Carlo Parola, con proprio Altafini ad aprire le marcature. A 36 anni l’oriundo gelò il San Paolo dimostrando di non aver perso minimamente il fiuto del gol.
Dopo due pareggi nelle trasferte a Terni e nella Milano nerazzurra, il Napoli tornò finalmente alla vittoria battendo di misura il Torino alla tredicesima giornata. I due punti conquistati contro il Toro furono però seguiti dal secondo KO in campionato al Dall’Ara di Bologna, che fece scivolare gli azzurri al sesto posto. Il girone d’andata si chiuse infine con una vittoria contro il Varese.
Il Napoli del 1975 – L’inizio del girone di ritorno
Il Napoli era chiamato a recuperare ben cinque punti alla Juventus per vincere il campionato. All’inizio del girone di ritorno la squadra di Vinicio tornò finalmente al massimo della sua forma fisica e mentale, mettendo a segno sei vittorie – Varese compreso – e quattro pareggi tra la quindicesima e la ventiquattresima giornata. Di particolare prestigio furono le vittorie per 2-0 contro Roma e Milan. Giocatori e tifosi iniziarono a credere nella rimonta.
Intanto, la Lazio aveva perso terreno e si trattava ormai di una lotta a due: Napoli contro Juventus. Si arrivò così all’attesissima sfida scudetto al Comunale di Torino del 6 aprile 1975, con la Juventus in vantaggio di due punti sul Napoli. All’epoca non esisteva il criterio degli scontri diretti, vigeva la regola dello spareggio in caso di arrivo a pari punti, dunque una vittoria di misura o anche un pareggio sarebbero stati buoni risultati per il Napoli. Il calendario delle ultime cinque giornate, infatti, non sorrideva ai bianconeri, che avrebbero dovuto affrontare, tra le altre, la sfida con la Lazio – che all’andata aveva battuto la Juve – e la trasferta di Firenze.
Il Napoli del 1975 – Lo scontro diretto e il finale di campionato
Come già accaduto all’andata, la Juventus trova il vantaggio nel primo tempo, con Franco Causio, che raccoglie un passaggio di Damiani e insacca alla sinistra di Carmignani. Il Napoli non ripete l’errore dell’andata e non si disunisce dopo il gol subito. Sul finale di primo tempo Burgnich evita guai peggiori dopo una punizione battuta dallo stesso Causio.
Nel secondo tempo gli azzurri si rendono pericolosi soprattutto con Massa, ma un tentativo finisce alto e un altro dritto tra le braccia di Dino Zoff – anche lui ex della gara. La Juve reagisce e colpisce la traversa con Bettega su punizione, ma il Napoli continua a fare la sua partita. A mezz’ora dalla fine lo scatenato Massa supera un paio di avversari e serve Juliano, che batte Zoff dal limite dell’area portando il Napoli sul punteggio di 1-1.
A un quarto d’ora dal triplice fischio Parola gioca la sua classica mossa: l’ingresso di Altafini. Quando il pareggio sembra ormai scritto, Juliano si presenta davanti alla porta bianconera per la doppietta personale, ma Zoff compie una delle parate più belle e importanti della sua carriera. Questa è la vera sliding door della partita e del campionato, perché poco dopo, un’uscita sbagliata di Carmignani consegna la palla a Cuccureddu, che colpisce il palo. Sulla respinta, Altafini ha poi il merito, o forse la fortuna, di trovarsi al posto giusto nel momento giusto: è lui a infilare la porta del Napoli fissando il punteggio sul 2-1 quando il cronometro segna il minuto ottantotto. Già, proprio quel minuto che anche quarantuno anni dopo risulterà nuovamente fatale ai partenopei, di nuovo in una sfida scudetto con la Juve: parliamo del gol di Simone Zaza, anch’egli subentrato dalla panchina, che sancì il sorpasso dei bianconeri il 13 febbraio 2016. Mancavano tante giornate, ma il valore di quel gol fu enorme, dato che il Napoli non riprese più la testa del campionato.
Fu così anche nel 1975, quando il Napoli non riuscì ad agguantare di nuovo la Juve. Il 4-0 rifilato dai bianconeri alla Lazio chiuse di fatto ogni discorso, anche se la squadra di Vinicio evitò così la beffa di finire al terzo posto. Malgrado il pareggio a Cagliari e la sconfitta a Firenze, la Juventus vinse il suo sedicesimo scudetto. Il Napoli chiuse al secondo posto, nonostante le sole tre sconfitte in campionato. E a proposito di corsi e ricorsi storici, questa circostanza si sarebbe ripetuta nel 2018 con il Napoli dei 91 punti di Sarri.
Il Napoli del 1975 – Le conseguenze
Se da un lato il Napoli aveva raggiunto un risultato di rilievo eguagliando la sua migliore posizione in Serie A – era arrivato secondo, a nove lunghezze di distanza dal Milan campione, anche nella stagione 1967/1968 –, dall’altro l’illusione di poter portare finalmente il primo scudetto nella città si trasformò in una pesante delusione. Un anno dopo sarebbe arrivato un riscatto parziale nella conquista della Coppa Italia, ma la sensazione di un’occasione che non sarebbe arrivata mai più era diventata, se vogliamo, ancora più forte.
Eppure, quella squadra non era mai stata la capolista solitaria della Serie A. Questa è la principale differenza con un altro Napoli impressionante, anche se non vincente, quello di Maurizio Sarri, in vetta almeno per una giornata per tutte e tre le stagioni dal 2015 al 2018, sebbene in momenti diversi del campionato.
Molto probabilmente, la delusione era dovuta, oltre che alla qualità del calcio di Vinicio, che aveva permesso agli azzurri di essere il miglior attacco del campionato, al fatto che il Napoli non aveva mai affrontato, in tutta la sua storia, una vera e propria partita scudetto come fu quella con la Juve, che dunque rappresentava una sorta di appuntamento con il destino. Quel gol di Altafini sembrò quindi voler dire che non c’era nulla da fare: il Napoli non avrebbe mai vinto lo scudetto.
Ancora oggi quella parola è impronunciabile in città, ma i motivi sono più che altro scaramantici. All’epoca il sentimento era diverso: il Napoli non aveva mai vinto il campionato e questo per i partenopei rappresentava una sorta di maledizione, ma anche e soprattutto l’impossibilità di scalfire lo strapotere economico delle tre grandi squadre del Nord – Inter, Milan e Juve – nonostante fossero già arrivate le vittorie di squadre come Roma, Lazio, Fiorentina e persino Cagliari.
Questo sentimento popolare è stato espresso, con tanta ironia, dallo scrittore napoletano Luciano De Crescenzo nel suo romanzo ‘Così parlò Bellavista‘, in cui una donna in una trattoria «ha tenuto una filippica contro Garibaldi, colpevole di aver unificato l’Italia allo scopo d’impedire al Napoli di vincere tutti gli anni lo scudetto del Regno delle Due Sicilie».
Il popolo partenopeo non poteva sapere che, proprio in quegli anni, dall’altra parte del mondo, un ragazzino che vestiva la maglia dell’Argentinos Juniors stava iniziando a far parlare di sé, lo stesso ragazzino che sarebbe poi diventato il più forte e importante giocatore nella storia del Napoli, ma questa è un’altra storia.
Leggi anche: Le dieci migliori partite tra Juventus e Napoli