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What if…? Cinque storie di pallone alternative

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Se ognuno di noi avesse la possibilità di tornare indietro nel tempo, per cambiare un avvenimento della propria vita, probabilmente lo farebbe, non curandosi delle eventuali conseguenze. L’amatissima trilogia cinematografica di Ritorno al Futuro ci insegna infatti che cambiare il corso degli eventi può essere molto pericoloso, dato che possono venire a crearsi paradossi temporali difficilmente gestibili, alle volte persino spaventosi. L’uomo però è naturalmente debole e curioso, e la voglia di cancellare un brutto ricordo o di vedere cosa sarebbe successo se si fosse verificato un avvenimento piuttosto che un altro sarebbe troppo forte, e questo vale anche per il mondo del pallone. Quelli che seguono sono cinque esempi di ‘What if…?‘ sul calcio, tra distopie e realtà alternative piuttosto improbabili.


L’Olanda ai mancini – ‘What if…?‘ sul calcio

Sudafrica, 11 luglio 2010. A Johannesburg si gioca la finale della Coppa del Mondo tra Spagna e Olanda, due squadre che non hanno mai vinto la competizione; a spuntarla saranno i tulipani grazie alla vittoria per 1-0 firmata Arjen Robben, che al sessantunesimo minuto sfrutta l’imbeccata geniale di Wesley Sneijder, si infila tra Puyol e Capdevila e batte Iker Casillas con un tiro ad effetto con il sinistro.

La vittoria provoca giubilo ed eccitazione nel popolo olandese, forse troppa. All’aeroporto di Amsterdam-Schiphol i campioni del mondo vengono accolti dalla Regina Beatrice in persona, che prende il microfono e proclama Robben come figliol prodigo della nazione e senatore a vita seduta stante. Da quel momento la maglia del Bayern Monaco con il numero dieci diventa la più venduta del paese, addirittura si viene a creare un movimento secessionista che spinge per l’annessione dello stato alla Germania, così da stare più vicini al proprio idolo. L’ala parlamentare della sinistra olandese delibera una legge destinata a cambiare per sempre le sorti del paese: la ‘Wet voor de linkse vertaling van de toestand‘, ovvero la legge per la traslazione mancina dello stato. Robben aveva cambiato la storia olandese col suo sinistro e per questo motivo il popolo doveva iniziare ad usare solo la parte mancina del proprio corpo. Si mangia, si scrive, si telefona, si vive solo usando il sinistro.

Cambia anche il mondo del calcio. La decisione del nuovo presidente della Federcalcio Giovanni van Bronckhorst, ritiratosi dopo aver sollevato la Coppa del Mondo da capitano, è chiara: si gioca solo dal lato sinistro del campo. Le squadre olandesi devono schierare giocatori solo sull’out di sinistra, esclusi il portiere e l’ala destra che però ha l’obbligo di convergere al lato opposto e tirare sul secondo palo. L’Olanda non si qualificherà più ad una competizione internazionale. Il resto del mondo guarda con diffidenza a questa riforma, che viene giustificata con affermazioni deliranti del tipo: «avete visto però che punizioni tiriamo?». Beh, non è difficile da credere visto che vengono allenati i muscoli di una sola gamba.

Robben sarà anche l’artefice della transizione green dei Paesi Bassi: la legge in questione, infatti, comporta la soppressione definitiva delle automobili, non un grande problema nel Paese delle biciclette. «Purtroppo nel 2010 la legge è cambiata e non scoprirò mai l’ebbrezza di schiacciare il pedale dell’acceleratore come mio padre» dichiarerà Max Verstappen, perito industriale.


Virgil van Dijk al City e l’Everton in paradiso – ‘What if…?‘ sul calcio

La stagione 2017/2018 di calcio inglese vede il ritorno di una grande protagonista: il Liverpool. Con l’arrivo di Jürgen Klopp, i Reds sono infatti sono tornati a giocare ad alti livelli, tanto da qualificarsi in Champions League quattro anni dopo l’ultima volta. Per l’occasione, la dirigenza del club mette mano al portafoglio e acquista dalla Roma un giocatore importante come Mohamed Salah. La squadra è fin da subito competitiva in campionato così come in coppa, tanto da vincere il girone a punteggio pieno.

Arrivati al giro di boa della stagione i Reds sembrano addirittura poter competere con il Manchester City di Pep Guardiola, sognando un titolo che manca da quasi trent’anni, ma i Citizens sono più forti e dispongono di una potenza economica senz’altro maggiore. Durante il mercato di gennaio, entrambe le squadre hanno bisogno di un nuovo difensore centrale e puntano tutto sul colosso olandese del Southampton Virgil van Dijk, ingaggiando un vero e proprio duello di mercato. Questo è tentato dal richiamo storico del Liverpool e dal fascino impareggiabile di Anfield Road, ma l’offerta degli Sky Blues è troppo alta per poter rifiutare, sia per il club – ben 90 milioni di euro, difensore più costoso di sempre – che per lui, che alla fine si trasferisce alla corte di Guardiola. Mancando poco alla fine del mercato e con l’obiettivo principale ormai sfumato, il Liverpool decide di investire su un giovane prospetto del Leicester City: Harry Maguire, pagandolo 50 milioni di euro.

Se van Dijk ha subito un impatto determinante con la nuova squadra, rendendosi protagonista di una cavalcata che porterà il City alla vittoria del titolo e all’approdo in finale di Champions – poi persa contro il Barcellona grazie ad un gol in rovesciata di Paulinho –, non si può certo dire lo stesso per Maguire. Il ragazzo si mostra fin troppo timido e impacciato, è lento e in ritardo nelle marcature, commette così tanti errori che il Liverpool finisce la stagione addirittura al sesto posto e ottiene una cocente eliminazione ai quarti di Champions proprio contro il City. Ad aggravare la situazione, il fatto che il club chiuda dietro il sorprendente Everton di Wayne Rooney e Davy Klaassen, che finisce in una posizione di classifica più alta dei cugini per la prima volta dopo cinque anni.

I Toffees grazie ad alcuni investimenti mirati, tra cui Aymeric Laporte dall’Athletic Bilbao e l’ex City Jadon Sancho, riescono ad imporsi tra le big del campionato e a tornare in Champions League, che vinceranno a sorpresa nel 2021 sotto la guida dell’esperto Carlo Ancelotti, da poco esonerato dalla guida dell’Atalanta.

E il Liverpool? L’acquisto di Maguire e il conseguente fallimento sportivo della stagione manda in crisi finanziaria il club, costretto a vendere l’intero tridente: Salah al Barcellona, Firmino al Real Madrid e Mané all’Atlético. Klopp viene esonerato e al suo posto viene scelto Big Sam Allardyce, che non riesce però a far risalire il club dalla metà della classifica, posizione che l’allora club di spicco del Merseyside occupa ancora oggi.


Cristiano Ronaldo, tra Celtic Park ed emiri – ‘What if…?‘ sul calcio

Cristiano Ronaldo è stato uno dei giocatori portoghesi più forti degli ultimi anni, una vera e propria leggenda del Celtic, anche se le premesse erano ben diverse.

Nel 2003 il Manchester United acquista il promettente esterno lusitano dopo aver giocato un’amichevole contro lo Sporting Lisbona. Sir Alex Ferguson è innamorato del talento del ragazzo e per questo motivo decide di affidargli l’iconica maglia numero sette, quella delle leggende del club mancuniano.

Gli inizi però non sono dei migliori: Ronaldo gioca poco e il suo carattere naturalmente introverso certo non lo aiuta ad ambientarsi in un club assetato di vittorie; proprio per questo motivo viene mandato in prestito al Portsmouth per la seconda metà di stagione, squadra nella quale segna appena un gol in otto partite. È il preludio di una girandola di prestiti che lo porteranno a vestire poi le maglie di Newcastle, Stoke City e Fulham, squadre in cui farà bene ma non abbastanza per lo United, che decide di non rinnovargli il contratto.

Nell’estate del 2007 firma con uno dei club più iconici del calcio britannico, gli scozzesi del Celtic: comincia una grande storia. Cristiano Ronaldo diventa il simbolo di una squadra che nei dieci anni seguenti vince ogni campionato e ogni coppa nazionale. La sua velocità, il suo dribbling e il suo fiuto del gol – ben 400 con gli Hoops – lo rendono immarcabile e il trascinatore assoluto dell’Europa League vinta ai danni del Milan di Inzaghi nel 2015. Con i biancoverdi raggiungerà anche una semifinale di Champions, ma verranno sconfitti dal Porto, poi campione. Il mancato trionfo nella Coppa dalle Grandi Orecchie, affermerà lo stesso Cristiano, è il più grande rimpianto della sua carriera.

I tifosi lo amano. Quasi tutti i ragazzini di Glasgow si chiamano Cristiano, gli viene addirittura dedicata una canzone che fa: «When you score you make the celtics sing, Cristiano on the wing, Cristiano Ronaldo on the wing. Every time you’re on the ball we know, it’s gonna be a goal, our superstar from Portugal…».

(Questo è solo un pretesto per farvi scoprire la vostra nuova canzone preferita)

Nel 2017 Cristiano lascia Celtic Park e approda in Arabia Saudita, nuova frontiera del calcio mondiale, per concludere la carriera e godersi un contratto faraonico. Molti non apprezzarono la scelta perché avrebbero voluto vedergli concludere la carriera in biancoverde, ma cosa vuoi dire ad uno che ha scritto la storia del calcio scozzese?


Diego, la Juve e il futebol bailado – ‘What if…?‘ sul calcio

Nell’estate del 2009 la Juventus decide di versare ben 27 milioni di euro alle casse del Werder Brema per accaparrarsi le prestazioni della nuova stella del calcio brasiliano Diego Ribas da Cunha, ipotetico successore di Alessandro Del Piero. Il numero ventotto, poi dieci, viene accolto a Torino con grandissime aspettative da parte dei tifosi, anche perché in rete circolano i primissimi video di “skills and goals” accompagnati da musica di dubbio gusto. Non le deluderà.

L’impatto di Diego con il mondo Juve è devastante, al di sopra di ogni previsione. Il fantasista brasiliano agisce alle spalle del capitano bianconero e del connazionale Amauri – che nel frattempo riceve la prima convocazione in maglia verdeoro –, terminando la sua prima stagione juventina con 12 gol e 21 assist in tutte le competizioni. La cosa che fa specie è il suo rendimento nei big match: segna contro Roma, Fiorentina, Napoli, Milan e soprattutto nel match di San Siro contro l’Inter con una rete da capogiro. Sugli sviluppi di un calcio piazzato si alza un campanile che il brasiliano controlla in palleggio con la coscia, sombrero a Balotelli e tiro al volo che non lascia spazio al portiere nerazzurro. Lo scudetto lo vincerà la Roma di Ranieri, con i bianconeri che si piazzano al secondo posto. Le basi sono però solide per il futuro che verrà.

La stagione 2010/2011 è la prima di dieci anni di trionfi consecutivi, con il brasiliano assoluto mattatore insieme alle nuove stelle Xabi Alonso, Robin van Persie e Miloš Krasić. Diego incanta il pubblico del Delle Alpi come non si vedeva dai tempi di Zidane. La sua classe, la sua cattiveria agonistica e il suo pragmatismo lo impongono in poco tempo come nuovo capitano e simbolo del nuovo corso bianconero basato sul futebol bailado, dato che a Torino si decide di proporre un gioco propositivo e spregiudicato, basato sulla libertà dei giocatori offensivi, e questo non sarebbe stato possibile senza l’approdo in bianconero dell’emergente Massimiliano Allegri e del suo celebre motto «ATTACCARE!».

Diego concluderà la sua carriera in bianconero diventando il secondo miglior marcatore e il primo assistman della storia juventina, mentre nel suo palmarès figureranno dodici scudetti, otto Coppe Italia, otto Supercoppe italiane, tre Palloni d’Oro e soprattutto due Champions League. Ci voleva uno come Diego per riportare la coppa dalle grandi orecchie in quel di Torino. Per omaggiarlo di tali traguardi, la Juventus ha deciso di rendere ‘Danza Kuduro‘ il nuovo inno del club, in memoria del video di “skills and goals” più visto di sempre: ‘Diego, Juventus magician 2009-2023 | Skills and goals‘.


Il canto del cigno di Zizou – ‘What if…?‘ sul calcio

È il 9 luglio del 2006 quando all’Olympiastadion di Berlino si gioca la finale del Mondiale tedesco, che vede di fronte proprio la Francia di Zinédine Zidane, all’ultima apparizione nella rassegna iridata, e la sorprendente Italia guidata da Marcello Lippi. La partita è tesa e vibrante fin da subito, con i transalpini che vanno in vantaggio con un rigore del loro capitano, che con un cucchiaio sorprende Buffon, e con gli azzurri che pareggiano i conti con lo stacco perentorio di Marco Materazzi.

Da quel momento la partita segue lo stesso leitmotiv: la Francia attacca in virtù della sua qualità tecnica e l’Italia tiene botta, provando a contrattaccare e trovando addirittura la rete del vantaggio con Luca Toni, poi annullata per fuorigioco. Il punteggio non si sblocca e si arriva ai tempi supplementari, dove il portierone azzurro si supera con un meraviglioso colpo di reni proprio su un violentissimo colpo di testa di Zizou.

Ci si avvicina ai calci di rigore e la tensione si taglia con un coltello. A dieci minuti dalla fine, Marco Materazzi si avvicina al capitano dei Bleus e i due si scambiano qualche battuta infelice. Il difensore dell’Inter cerca di innervosire l’avversario e Zidane, sentendo una parola di troppo, sta per cascare nel tranello, guarda negli occhi l’avversario e sembra in procinto di tirargli una testata, quando da lontano sente la voce del compagno David Trezeguet, che gli intima di calmarsi. Non succede niente, solo un richiamo dell’arbitro.

Si arriva ai rigori. Pirlo segna. Zidane segna, e guarda Materazzi. Materazzi segna, e guarda Zidane. Trezeguet sbaglia. De Rossi segna. Abidal segna. Del Piero segna. Sagnol segna. Grosso segna. Italia campione del mondo.

Sembrava la fine della carriera di Zizou ma il francese, dopo aver lasciato il Real Madrid e per via della cocente delusione, decide di giocare per un ultimo anno nella sua Marsiglia. L’OM vincerà la Ligue 1 2006/2007 grazie al tridente Franck Ribéry-Djibril Cissé-Zinédine Zidane, tornando nell’élite del calcio. Zizou può ritirarsi felice, non prima di aver vinto il nuovo premio fair-play assegnato dalla FIFA.

Se ve lo steste chiedendo: no, in nessuno dei miliardi di universi paralleli abbiamo perso il Mondiale.

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