Di Natale

Antonio Di Natale, imperatore di Udine

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«Totò, ci sarebbe una società davvero interessata a prenderti», «Ah sì? E che squadra è?», «La Juventus, Totò!», «Cavolo, la Juve, però non so, a Udine sto davvero bene, non me la sento di andarmene da qui». Questo dialogo – parola più, parola meno – ha avuto luogo nell’agosto del 2010 tra Antonio Di Natale, numero dieci dell’Udinese, e Bruno Carpeggiani, il suo procuratore. All’epoca l’attaccante aveva 33 anni ed aveva appena ottenuto il titolo di capocannoniere della Serie A. Totò rifletté un attimo, ma non esitò a rifiutare la Vecchia Signora e decise di rimanere nella “sua” Udine. Il motivo? Era la bandiera della squadra e per motivi ambientali non se la sentiva di trasferirsi a Torino. Resteremo sempre col grande dubbio di quella che sarebbe stata la carriera di Di Natale se avesse deciso di indossare l’altra maglia bianconera, magari avrebbe vinto alcuni trofei, ma a Udine è diventato il simbolo non solo di una squadra di calcio, ma di un’intera città. Un monumento udinese.



Antonio Di Natale nasce a Napoli, il 13 ottobre 1977. Sin da piccolo mangia pane e calcio, e cresce nel quartiere della 219 di Pomigliano d’Arco. Diego Armando Maradona in quegli anni faceva strabuzzare gli occhi del popolo partenopeo, e vinceva da trascinatore assoluto gli unici due scudetti della storia del Napoli. Totò, così, a dieci anni, è innamorato pazzo del Pibe de Oro, come tutti i suoi coetanei napoletani.

Si iscrive alla scuola calcio del San Nicola del Castello di Cisterna, nell’hinterland della città del Vesuvio. Antonio è basso di statura, mingherlino, però in campo fa intravedere subito una proprietà di palleggio interessante e una dote non da poco: il dribbling facile. Colpisce subito gli osservatori della squadra locale, tanto che a 13 anni gli chiedono se vuole tentare fortuna all’Empoli, società toscana in ascesa nel panorama calcistico e affiliata al Castello di Cisterna.

Totò accetta e sa che deve ambientarsi in un’altra realtà, diversa e lontana da Napoli. Ora si trova nella pianura del Valdarno, circondato dai colli del Chianti, non più dal mare partenopeo.

Antonio è determinato e, nonostante in campo debba fronteggiarsi contro ragazzi fisicamente più grandi, fa vedere tutto il suo talento: è rapido e salta spesso l’uomo, e oltre al dribbling inizia a sviluppare un buon senso del gol. Di fronte al portiere difficilmente sbaglia e dentro l’area di rigore si muove in maniera assennata.

Nel 1996, quando ha 19 anni, termina le giovanili con gli azzurri dell’Empoli, e Maurizio Niccolini, il responsabile del vivaio toscano, lo manda in prima squadra. Nel calderone del calcio del piano superiore colleziona una sola presenza nel campionato di Serie B 1996/1997, quello che vale la promozione dell’Empoli in Serie A.

Di Natale ha 20 anni e sa che non troverà molto spazio nel massimo campionato italiano, è ancora troppo acerbo per imporsi a livelli elitari, motivo per il quale viene mandato in prestito per un paio di stagioni. Prima approda all’Iperzola, squadra di C2 con sede a Carpi, dove impreziosisce il suo score personale di sei reti. Poi, dopo una brevissima parentesi al Varese, si sposta al Viareggio, sempre in Serie C2, con cui firma 12 gol in 25 partite giocando da esterno sinistro offensivo. Difatti, all’alba della sua carriera, Di Natale non giostrava da attaccante centrale, ma partiva dalla fascia d’attacco.



Così, fattosi le ossa nelle categorie inferiori, nel 1999 torna all’Empoli, che nel frattempo era sceso di nuovo in cadetteria. Sotto la fondamentale guida di Silvio Baldini sboccia fiorente tutto il suo potenziale: in tre stagioni realizza 31 gol, in particolare in quella del 2002 mette a referto 16 reti in 38 gare, che gli permettono anche di guadagnarsi la prima chiamata in Nazionale. Di Natale è glaciale sotto porta, può anche fare il regista offensivo e dispensa giocate di altissimo spessore, trascinando l’Empoli al ritorno in Serie A.

Antonio, a 25 anni, non può più nascondersi, e su di lui iniziano a posarsi gli occhi di diverse società, ma Totò ha un grande desiderio: vuole vivere la Serie A con la maglia azzurra dell’Empoli, la squadra che gli ha dato l’opportunità di diventare un calciatore importante e affermato. Resta in Serie A per due stagioni in maglia empolese, in un attacco di estrema qualità per una squadra che doveva inizialmente salvarsi. Il tridente dell’Empoli, infatti, recitava Di NataleRocchiTavano. Il rendimento della squadra, però, è altalenante, e ad una salvezza tranquilla il primo anno, in cui Totò segna 13 gol – niente male per un debuttante nella massima serie – segue la retrocessione al penultimo posto l’anno dopo.

Nonostante il fallimento della stagione sportiva, con la caduta dell’Empoli nel Purgatorio della cadetteria, Antonio in Toscana si è divertito, tutto sommato vorrebbe restare, ma ha appena sposato Ilenia e la coppia ha voglia di costruirsi una vita nuova, in un’altra città. Arrivano alcune offerte da formazioni di buon livello di A: quella irrinunciabile giunge dal Friuli, precisamente da Udine, città agli antipodi, per i paesaggi offerti, dalla Napoli in cui Totò è cresciuto. La società friulana, all’epoca di Franco Soldani, ha appena raggiunto il settimo posto, valido per la Coppa UEFA. Per Di Natale è un’opportunità allettante: società ambiziosa ma tranquilla e con i piedi ben piantati per terra, un posto ideale per mettere su famiglia, e una squadra dove avrebbe avuto la possibilità di giocare. Sempre. Nel 2004, a 27 anni, Totò approda all’Udinese, non sapendo che diventerà la bandiera e uno dei giocatori più forti della storia della società friulana.



Antonio è più maturo, e questo lo si percepisce pure in campo. Pian piano da esterno sinistro passa al ruolo di seconda punta, spostandosi vicino a Vincenzo Iaquinta e alternandosi a David Di Michele. In panchina c’è Luciano Spalletti, mister in piena rampa di lancio che guida i friulani ad un campionato da urlo: a fine anno l’Udinese sarà addirittura quarta in classifica, un traguardo epico per la società bianconera, che potrà disputare i preliminari della Champions League 2005/2006.

I friulani superano il primo turno preliminare e si giocano il passaggio del girone eliminatorio della Coppa dalle Grandi Orecchie fino all’ultima giornata. La doppietta di Totò in rimonta contro gli avversari diretti del Werder Brema purtroppo non basta: vanno avanti i tedeschi, insieme al Barça di Ronaldinho.

Quell’anno resterà indimenticabile per Antonio, perché sarà l’unico italiano a riuscire a segnare nella stessa stagione almeno una rete in Champions League, Coppa Italia, Serie A e Coppa UEFA. Sarà uno dei primi straordinari record – sulla prolificità di reti segnate – scritti da Di Natale durante la sua carriera calcistica.

Da lì in poi, all’Udinese transiteranno vari tecnici, ma per tutti Di Natale rappresenta il punto fisso dell’attacco, la stella polare della squadra, il cardine del gioco friulano. Nell’annata 2007/2008, con Pasquale Marino, sarà il capocannoniere dei bianconeri, arricchendo il carniere personale di 17 gol, partendo sempre come esterno sinistro.

Ormai il giovanotto di Pomigliano d’Arco è un attaccante completo, e Roberto Donadoni, CT dell’Italia, se ne accorge, e lo convoca per gli Europei del 2008, che giocherà bene ma nei quali risulterà essere sfortunato e decisivo in negativo, sbagliando l’ultimo rigore azzurro contro la Spagna che andrà a vincere quella competizione, iniziando il suo miglior ciclo di sempre.

La stagione 2009/2010 sarà magica per lui, ma un po’ meno per l’Udinese. La squadra friulana arriverà quindicesima, in netto calo rispetto ai fantastici risultati di squadra delle annate precedenti, tuttavia è guidata sul campo dalle gesta incredibili di Di Natale che firmerà 29 reti, sarà capocannoniere del campionato e sancirà il record di reti in una singola annata per un giocatore dell’Udinese.

Il repertorio dell’attaccante napoletano è invidiabile agli occhi dei migliori attaccanti internazionali. Sigla gol pazzeschi, sfoderando conclusioni spettacolari al volo, pallonetti, botte da lontano, ma allo stesso tempo gol da bomber di razza. Un repertorio da scuola calcio. Così, un’intera città è ai suoi piedi, tutta Udine lo ama e lo venera.

Nella stassa annata realizza due triplette – contro Catania e Napoli – e supera Lorenzo Bettini al primo posto nella classifica all-time della storia dei migliori scorer dell’Udinese.

L’Udinese, trascinata dallo scugnizzo friulano d’adozione, e dall’arrivo sulla panchina del club di Francesco Guidolin, torna a risplendere. L’allenatore veneto condurrà i bianconeri verso vette inesplorate, paradisiache. Di Natale, capitano e leader indiscusso del gruppo, conclude la stagione con un altro titolo di capocannoniere, il secondo consecutivo. Sono 28 le reti in Serie A, che aiuteranno in maniera decisiva a portare la sua squadra al quarto posto. Il tandem con il Niño maravilla Alexis Sánchez è un inno alla felicità, un prodotto degno della tutela dell’Unesco. Una partita in particolare resterà scavata nella storia del nostro calcio, la trasferta del Barbera contro il Palermo: fu 7-0 per l’Udinese con 3 gol di Di Natale e 4 di Sánchez. I due erano poesia per tutti gli amanti del pallone, due prestazioni di tale genere nello stesso incontro raramente si sono potute apprezzare.

L’Udinese stavolta non riesce a passare il preliminare di Champions perché è fermata dall’Arsenal – una corazzata guidata dal tridente Gervinho-van Persie-Walcott –, ma la rosa di Guidolin non subirà alcun contraccolpo. Difatti, se nel 2011 l’Udinese aveva chiuso al quarto posto in classifica, nell’anno successivo arriverà addirittura terza.

La squadra di Udine è un’autentica rivelazione: Handanovič in porta, Benatia e Danilo in difesa, Asamoah, Armero, Isla e Pereyra in mezzo al campo, Totò in attacco. Grandissimi talenti esplosi definitivamente timonati da Guidolin, prospetti che nel corso della storia recente hanno riempito le rose delle big italiane, divenendo una sorta di risorgiva d’oro per le casse dei Pozzo, divenuti proprietari del club friulano. Di Natale finirà la stagione riempiendo i tabellini dei marcatori in 23 occasioni, sarà “solamente” il terzo miglior marcatore della Serie A dopo Ibrahimović e Milito.

Nell’estate successiva vengono disputati gli Europei e Totò viene ovviamente convocato, gli azzurri sotto la guida di Prandelli provano a riscattare la delusione del Mondiale precedente, nel quale l’Italia è uscita ai gironi con solo Totò e il suo ex compagno di squadra Quagliarella che salvarono la faccia.

Nella prima partita contro la Spagna, Di Natale parte dalla panchina, e quando viene gettato nella mischia segna la rete dell’1 a 1, battendo Casillas e prendendosi una meritata rivincita dopo l’errore del dischetto di quattro anni prima. Per lui è una sorta di redenzione calcistica.

Quella Spagna, però, gli azzurri la incontreranno nuovamente in finale, dopo un grande percorso, e alla fine risulterà essere troppo più forte, riuscendo a conquistare il suo secondo Europeo consecutivo, intervallato dalla vittoria del Mondiale sudafricano.



Al rientro ad Udine, ai bianconeri spetta un altro giro nella barrage di Champions League, e nuova uscita ai preliminari. Questa volta perderà ai rigori contro il Braga, anche a causa di uno scellerato errore dal dischetto del “mago” Maicosuel. La cocente delusione di fine agosto potrebbe rivelarsi un contraccolpo pesante, tuttavia il campionato degli udinesi sarà comunque ottimo, con Guidolin che porterà i suoi al quinto posto in graduatoria e Di Natale che, nonostante abbia spento 35 candeline, segnerà altri 23 gol. Il problema è che questi dati fantascientifici non sorprendevano più nessuno.

Tra il 2007 e il 2013 Totò ha segnato 132 reti in 198 partite di campionato, aggiudicandosi due titoli di capocannoniere. Era un’autentica macchina da gol, un giocatore immenso che contendeva i titoli delle Scarpe d’Oro ai due alieni Messi e Cristiano Ronaldo. Numeri da capogiro, per un giocatore che si è guadagnato tutto da solo e ha dato sé stesso per l’Udinese, diventando una delle ultime bandiere del calcio italiano degli ultimi lustri, rifiutando i corteggiamenti di società molto più forti, perché «In Friuli ho trovato la mia casa e non ho mai pensato di lasciare la squadra, la città e la famiglia Pozzo, che mi ha adottato come un figlio». Le parole di un napoletano che si è trovato a suo perfetto agio a Udine, nel profondo nord, un’alcova insostituibile. Quasi uno scherzo, a leggerlo così, ma è la verità.

Dal 2013 al 2015 segnerà ancora 31 reti in due stagioni, numeri rispettabilissimi per uno che, almeno anagraficamente, avrebbe 36 e 37 anni. Nella sua ultima stagione riesce a segnare soltanto due volte, lascia il calcio giocato nell’estate del 2016, conscio del fatto che fisicamente non poteva più competere ad altissimi livelli.

Alla fine, ammirando il suo bagaglio statistico in Serie A, tra Empoli e Udinese, ha segnato 209 reti in 455 presenze, una media di 0,47 gol a gara – giocando la prima parte di carriera da esterno –, riuscendo a raggiungere il sesto posto nella classifica capocannonieri di tutti i tempi in Serie A.

Analizzando ancora di più i dati, si comprende che con la maglia friulana ha registrato 191 gol in 385 presenze. Statistiche all’apparenza fredde che però raccontano di un giocatore che difficilmente riusciremo a rivedere in Italia. In 170 cm di altezza era racchiuso un attaccante devastante. Poco abile nel gioco aereo per evidenti motivi, ma col baricentro basso riusciva a sgusciare ai marcantoni dirimpettai, smarcandosi sempre al posto giusto nel momento giusto dentro l’area di rigore. Timbrando reti a iosa e in tutti i modi. Di destro, di sinistro, con acrobazie, nell’area piccola ma anche con tiri da fuori area. Freddo dal dischetto e spettacolare con le punizioni da lunga e corta distanza. Si scrive ‘Antonio Di Natale’, si può leggere ‘Gol’.

Totò ha fatto stropicciare gli occhi a tutti gli appassionati di pallone, che non possono che essere calcisticamente innamorati del folletto di Pomigliano d’Arco. Due piedi fatati, una visione celestiale del gioco, e traiettorie arcuate di tiro degne delle pennellate di Giotto. Tutto questo era Antonio Di Natale, Imperatore di stampo mediterraneo nel freddo friulano. Un giocatore che è stato e resterà un unicum nel patrimonio calcistico italiano.

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