Messi Argentina

Il rapporto complicato tra Messi e la Nazionale argentina

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Se ci fosse davvero un modo oggettivo per stabilire chi sia il calciatore più forte della storia, uno di quelli che avrebbe le maggiori possibilità di esserlo è senza alcun dubbio Lionel Andrés Messi. Purtroppo, o per fortuna, non esiste nulla di tutto questo, e tali valutazioni sono sempre frutto della soggettività di chi espone la tesi, e una delle argomentazioni maggiormente utilizzate per contrastare l’idea di Messi come GOAT del calcio è quella del suo rapporto con la Nazionale argentina.

Sembra paradossale questa cosa, visto che stiamo parlando del giocatore che con ogni probabilità diventerà quello con più presenze nella storia dell’Albiceleste – al momento ha solo una manciata di gettoni in meno di Zanetti e Mascherano – e che già adesso è – con un distacco molto ampio – il miglior marcatore di sempre, in una Selezione che di certo non ha avuto pochi fenomeni in attacco, da Maradona a Batistuta e Crespo, fino ai più moderni Agüero e Higuaín.

Ma le statistiche, spesso, non riescono a fotografare perfettamente una storia, e quella tra Messi e l’Argentina è sicuramente molto intricata, soprattutto perché nella maggior parte dei casi i problemi che hanno portato il nativo di Rosario ad avere molti più dolori che gioie con la maglia del suo Paese non sono stati tecnici, fisici o atletici, ma mentali.


L’esordio della Pulga

I primi passi con la maglia albiceleste – quella dell’Under-20 – sono estremamente promettenti e beneauguranti, tanto che dopo un terzo posto nel Sudamericano, arriva la vittoria del Mondiale di categoria, competizione nella quale Messi viene eletto miglior giocatore.

Oltre questo, aveva anche iniziato a mostrare il suo talento con la maglia del Barcellona, e l’allora CT dell’Argentina José Pékerman decise di premiarlo, convocandolo per la gara amichevole contro l’Ungheria.

C’è grande fervore per questo evento, il popolo argentino sente di poter aver trovato davvero un nuovo fenomeno assoluto, dopo anni di ricerche solo parzialmente fruttuose, e i paragoni con Maradona – una pesante costante nella carriera argentina di Messi – si sprecano.

Il talentino di Rosario parte dalla panchina, ma a poco meno di mezz’ora dalla fine arriva il suo debutto. La partita di Messi, però, dura meno di un minuto, perché, alla prima accelerazione delle sue, il difensore Vilmos Vanczák può solo trattenerlo in maniera reiterata per la maglia per pensare di fermarlo, Messi sbraccia e l’arbitro vede una gomitata che in realtà non c’è: cartellino rosso.

Un vero e proprio incubo per un ragazzo appena diciottenne, che sognava quel giorno fin dai suoi primi passi con un pallone tra i piedi. Messi esce sconsolato dal campo, entra negli spogliatoi e piange a dirotto, ha paura di aver sprecato un’occasione importante, pensa che quella possa essere non solo la prima ma anche l’ultima sua partita con la maglia dell’Argentina.

Una situazione simile, per quanto singolare e nefasta, non può però fermare la grandezza di Messi, che quell’episodio lo metterà presto alle spalle, dimostrando il suo enorme talento. Quello che è avvenuto, però, è solo il primo atto di una tragedia che non sembra voler trovare una conclusione, e che accompagnerà il fenomeno rosarino fino ai nostri giorni.

La prima finale persa

Dopo un Mondiale 2006 in cui riesce a giocare solo pochi minuti – abbastanza per diventare il calciatore più giovane di sempre in un Mondiale con l’Argentina –, nel 2007 si affaccia alla prima competizione per nazionali che giocherà da titolare, la Copa América.

Messi è già diventato un giocatore importante per il suo club – con il quale ha praticamente già vinto tutto quello che poteva vincere –, e anche in Nazionale si è conquistato la titolarità. Gioca una buona Copa América, servendo due assist per i compagni nei gironi e segnando prima ai quarti e poi in semifinale nelle goleade contro Perù e Messico.

In finale, però, l’Argentina deve fermarsi di fronte al Brasile – nonostante la Seleção fosse molto rimaneggiata e con tantissime assenze –, che li batte a sorpresa con un netto 3-0.

Gli argentini criticarono aspramente questa sconfitta, ma Lionel Messi fu uno dei pochi “giustificati”, sia per l’età che per le prestazioni nel corso del torneo – che gli valsero il premio come miglior giovane –, con le principali accuse che colpirono la leggenda del Boca Juniors Juan Román Riquelme.

Questa, nonostante sia la prima, è forse la meno pesante e dolorosa tra le finali perse dal rosarino, che, appena diciannovenne, non aveva ancora il dovere morale di essere un leader per la propria squadra, cosa che indirettamente gli dava meno pressione psicologica.


Il primo Mondiale di Messi, non di Messi

Dopo la vittoria della medaglia d’oro nelle Olimpiadi del 2008, per i Mondiali sudafricani del 2010 l’Argentina affida la panchina a Diego Armando Maradona, il trascinatore assoluto dell’ultimo titolo mondiale dell’Albiceleste.

Sotto la sua guida, però, il sue erede non riesce a esprimersi al meglio: nelle qualificazioni per i Mondiali gioca 18 gare, segnando solo 4 gol, e sembra non riuscire a trovare una giusta collocazione tattica nello scacchiere del Pibe de Oro. Prima dell’inizio della competizione, però, pare che Messi abbia scelto, insieme all’allenatore, la posizione nella quale giocare: dietro le due punte.

Nonostante le complicate qualificazioni, il Mondiale in Sud Africa è il primo Mondiale che può diventare il Mondiale di Messi. Il rosarino, oltre agli svariati titoli nazionali, ha vinto un’altra Champions con il Barcellona, e ha messo nella sua personale bacheca anche il primo Pallone d’Oro. Con Maradona in panchina e il 10 dell’Argentina per la prima volta sulla sua camiseta, il destino sembra apparecchiato per vedere il calciatore più forte al mondo trascinare i suoi compagni alla vittoria, ma è solo un’illusione.

Dopo aver passato agevolmente il girone e battuto il Messico agli ottavi di finale, l’Argentina viene sbattuta fuori prepotentemente dalla Germania, con un pesantissimo 4-0 che non ammette repliche.

Messi non gioca una buona partita, ma non è di certo il peggiore dei suoi, eppure la maggior parte delle critiche del popolo argentino e non solo ricadono su di lui. Il motivo è lampante: quando sei un fenomeno la gente si aspetta che tu possa trascinare la tua squadra, soprattutto quando continuano a paragonarti a un dio del calcio che, da trascinatore assoluto, ha portato il tuo stesso paese sul tetto del mondo, mentre tu chiudi il torneo segnando 0 gol e subendo un’umiliazione.

Messi, a 23 anni, non riesce ad essere il leader della Nazionale, e il peso delle aspettative e delle responsabilità lo schiaccia, senza dargli possibilità di poter esprimere le sue qualità. Le pesanti critiche di molti tifosi argentini, che accusavano Messi di non tenere alla sua nazione, di certo non aiutano, e anzi, aumentano le difficoltà del rosarino, che non riesce a esprimere sul campo l’amore per il suo Paese.

La più grande delusione

Dopo la traumatica esperienza – non tanto per i risultati, deludenti ma pronosticabili, quanto più perché per la prima volta Messi venne fischiato dagli argentini – della Copa América 2011 organizzata in casa, e un’astinenza dal gol in gara ufficiale di due anni e mezzo, Messi e l’Argentina si affacciano al Mondiale brasiliano del 2014.

Sotto la guida del nuovo CT Alejandro Sabella, Messi ha cambiato drasticamente le sue prestazioni in nazionale, iniziando ad avere delle medie molto simili a quelle che da anni ormai aveva con la maglia del Barcellona. Oltre a questo, ebbe anche il riconoscimento della fascia di capitano – anche se il vero leader carismatico riconosciuto all’interno della Selección è sempre stato Mascherano.

Il Mondiale di Messi inizia con 4 gol nelle 3 gare dei gironi, e agli ottavi, contro una coriacea e ben organizzata Svizzera, è lui l’autore dell’assist per il gol decisivo di Ángel Di María. Da quel momento le prestazioni del capitano dell’Albiceleste iniziano a calare: nei quarti contro il Belgio – vinti 1-0 grazie alla rete del Pipita Higuaín – complessivamente non fa male ma sbaglia un gol a tu per tu con Courtois che tiene la gara aperta fino all’ultimo minuto, mentre in semifinale contro i Paesi Bassi – finita 0-0 e vinta ai rigori – la sua prestazione è decisamente incolore, ma el Jefecito Mascherano e Romero portano l’Argentina in finale.

L’ultimo avversario da affrontare è la Germania, per la terza volta le due squadra si sfidano nell’atto conclusivo di questo torneo. Messi, però, non riesce a dare la qualità che ci si aspetterebbe da uno come lui, sembra un corpo estraneo all’interno della squadra, e i compagni di reparto non aiutano nemmeno. L’Argentina, guidata da Mascherano, resiste come può agli assalti tedeschi, ma ai supplementari Mario Götze segna l’1-0 che basta per far vincere ai teutonici il quarto Mondiale della propria storia.

A fine partita, nonostante l’assenza di gol dopo i gironi, Messi viene premiato come miglior giocatore del torneo. La scelta verrà aspramente contestata in ogni angolo del globo, e persino Maradona si esprimerà in merito, definendola come una decisione «per scopi di marketing e non di merito».

Questa cosa aumenterà le polemiche e le critiche attorno alla figura di Messi, anche se visibilmente il rosarino avrebbe preferito sprofondare piuttosto che ritirare quel premio, costretto alle quasi umilianti foto di rito accanto a Neuer, mentre trattiene con fatica le lacrime.

Ancora una volta la pressione schiaccia Messi, impedendo al suo talento di fuoriuscire. «Le spalle di Messi sono larghe un terzo, rispetto a quelle di Maradona», come sostiene Federico Buffa, e gli argentini un leader senza garra faticano ad accettarlo.


L’incubo cileno

Sotto la guida del Tata Martino – che veniva proprio da un’esperienza al Barcellona –, Messi e compagni si presentano alla Copa América cilena del 2015 da favoriti, in qualità di vicecampioni del mondo. La Pulga segna all’esordio, su calcio di rigore, contro il Paraguay, il suo primo ed ultimo gol del torneo. Il dato è parecchio crudele, ma le prestazioni non sono per niente negative, in particolare nella semifinale contro il Paraguay non segna ma entra in tutti e sei i gol segnati dall’Albiceleste e regala spettacolo, trasformando i fischi dei cileni sugli spalti in scroscianti applausi.

Sembra poter essere finalmente arrivato il momento per Messi di vincere un trofeo con l’Argentina, ma a contrapporsi c’è il Cile di Jorge Sampaoli. I padroni di casa giocano una finale brutta, sporca e cattiva – senza però risparmiarsi in zona offensiva –, abbastanza per annullare l’alieno con la 10, e portarla ai rigori. Dal dischetto Leo segna il primo ed unico gol dei suoi, che poi sbagliano i due successivi con Higuaín e Banega, dando ad Alexis Sánchez la possibilità di far vincere il primo trofeo della sua storia alla Nazionale cilena, e l’ex Udinese non sbaglia.

Alla fine della gara Messi viene nuovamente eletto miglior giocatore del torneo, questa volta però non ha nemmeno la forza di presentarsi, e rifiuta il premio, che per la prima volta ed unica volta nella storia della competizione non viene assegnato.

Come facilmente prevedibile, nei media argentini e globali tornano a tuonare le critiche su Messi, che però ha la grandissima opportunità di rifarsi subito: in occasione del centenario della competizione, nell’anno immediatamente successivo, viene eccezionalmente disputata un’altra edizione della Copa América, che si gioca negli USA.

A ridosso del torneo, però, Messi si fa male: una profonda contusione nella regione lombare mette a rischio la sua presenza, ma il capitano argentino parte con la squadra. Resta in panchina per 90 minuti nella gara d’esordio contro i campioni in carica del Cile – battuti per 2-1 con i gol di Di María e Banega –, e sembra destinato allo stesso trattamento anche per la successiva partita del girone, contro Panama. A poco meno di 30 minuti dalla fine, con l’Argentina avanti per 1-0, Martino gli concede l’ingresso in campo per fargli riprendere la forma partita, e lui risponde segnando 3 gol – di cui uno con una meravigliosa punizione – e servendo l’hockey pass per il 5-0 finale. Nonostante questo, inizia fuori anche la gara con la Bolivia, nella quale gioca l’intero secondo tempo.

Messi è stato utilizzato con parsimonia e con il contagocce, ma arrivati alla fase ad eliminazione diretta, Martino non lo toglie più dal campo. Ai quarti di finale, contro la non irresistibile Bolivia, segna una rete e serve 2 assist – il primo, quello per il gol di Higuaín, canta –, in semifinale si ripete nella medesima maniera: 2 assist – entrambi geniali – e un gol – un precisissimo siluro su punizione, che gli permette di superare il record di gol di Batistuta con l’Albiceleste.

La bandiera statunitense di stelle ne ha 50, ma nessuna di queste brilla quanto Messi, e la chiara e netta sensazione è, ancora una volta, che sia arrivato il suo momento. Il problema è che, come l’anno precedente, tra lui e il primo trofeo con l’Argentina si frappone il Cile.

L’Argentina è stata protagonista di un percorso praticamente perfetto, in 5 partite ha segnato 18 gol e ne ha subiti solo 2, e il suo capitano ha fino a quel momento la media di un assist ogni 63 minuti e un gol ogni 51. Per altro, il Cile lo hanno già battuto, senza nemmeno Leo in campo, alla prima gara del girone. Sembra tutto apparecchiato per una vendetta.

Dopo 28 minuti il Cile si trova anche in 10 uomini, Marcelo Díaz si prende due gialli e finisce sotto la doccia, ma una follia di Rojo a ridosso del 45′ riporta le squadre in parità numerica. In campo, sugli spalti e da casa, gli argentini rivivono l’incubo dell’anno precedente: è ancora una volta 0-0, è ancora una volta rigori.

I cileni partono con un errore di Arturo Vidal, servendo il fianco agli avversari, che nuovamente non ne approfittano. Già, perché il primo rigore per l’Argentina lo calcia Messi, che spiazza Claudio Bravo, ma mandando il pallone altissimo, ben sopra la traversa. Sbaglia anche Lucas Biglia, mentre i cileni non sbagliano più, e rifanno la storia.

La faccia di Messi immediatamente dopo il rigore decisivo di Francisco Silva è più incredula che triste, esce dal rettangolo di gioco, si siede in panchina, da solo, guarda quello che sta succedendo, non ci vuole credere.

A mente calda, distrutto da quanto successo, annuncia anche il ritiro dalla Nazionale: «Ho fatto di tutto per cercare di vincere qualcosa con l’Argentina, era la cosa che desideravo di più, ma non ce l’ho fatta. Ho preso la mia decisione, ci ho provato tanto e non ce la faccio più».

Messi ha lanciato un bomba, e gli tra appassionati di calcio non si parla d’altro. Anche in questa occasione, non sono poche le critiche che arrivano: c’è chi lo crede un atto di codardia, chi di presunzione, chi una mancanza di rispetto. La verità è un’altra, ed è che è impossibile valutare in maniera razionale una cosa talmente irrazionale.

«Alle 2 del mattino circa intravidi Messi da solo che piangeva come un bambino senza la mamma, mi sono avvicinato per consolarlo, l’ho abbracciato e abbiamo pianto insieme», dichiarerà Elvio Paolorosso, preparatore atletico dell’Argentina. Noi possiamo solo immaginare come potesse sentirsi in quel momento il nativo di Rosario, alla terza finale consecutiva persa, con tutta la pressione che aveva addosso, con la sensazione di aver deluso e aver fatto piangere la sua gente, ma soprattutto di aver tradito per l’ennesima volta il sogno del fanciullino pascoliano che vive in lui.


Il ritorno e le ultime delusioni

Se da una parte i soliti critici lo avevano ancor di più affossato, dall’altra c’era l’affetto degli argentini – tra i quali anche l’allora presidente Mauricio Macri – consapevoli che uno come Messi difficilmente lo rivedranno tra le proprie fila, e che quindi gli hanno chiesto a gran voce di ripensarci, manifestandogli il loro affetto. Con le acque che si erano calmate e a mente definitivamente fredda, Messi ci ripensa, e comunica di voler continuare il suo percorso internazionale con la camiseta albiceleste.

Dopo aver rischiato fino all’ultima gara delle qualificazioni di saltare i Mondiali – catastrofe evitata da Messi, con una tripletta segnata contro l’Ecuador –, l’Argentina di Jorge Sampaoli – lo stesso di Cile 2015 – arriva in Russia consapevole di non avere grandi possibilità di poter trionfare, l’unico appiglio per un’insperata vittoria è ovviamente il Capitano.

Il debutto è contro l’Islanda, sul risultato di 1-1 – che sarà poi il risultato finale –, Messi ha l’occasione di portare in vantaggio la squadra, grazie ad un calcio di rigore conquistato da Pavon, ma l’islandese Hannes Halldórsson glielo impedisce respingendo il non irresistibile tiro del rosarino.

Nella seconda gara l’Argentina fa ancora peggio, viene infatti sconfitta per 3-0 dalla Croazia e rischia fortemente di chiudere la sua avventura mondiale ai gironi. Messi tocca pochissimi palloni, sembra un paradosso ma all’interno dei confusionari schemi di Sampaoli è il calciatore meno servito della squadra, e il disastro è inevitabile. «Messi è un giocatore incredibile ma non può fare tutto da solo», dichiara Luka Modrić a fine partita.

La vittoria contro la Nigeria nell’ultima gara del girone – con Messi che segna il primo dei due gol della squadra – regala il secondo posto all’Argentina, un secondo posto che i sudamericani pagano a caro prezzo, venendo sorteggiati con la favorita – e poi vincitrice – del torneo, la Francia.

Messi ci prova come può, serve due assist – il primo involontario, il secondo al bacio –, ma Mbappé e compagni sono troppo più forti, e l’Argentina viene eliminata agli ottavi di finale.



L’ennesima delusione ha portato ad una nuova ipotesi di definitivo addio al calcio internazionale, questa volta senza esplicite dichiarazioni, ma dopo 9 mesi e qualche amichevole saltata è tornato in campo con l’Albiceleste.

L’ultimo grande torneo giocato da Leo con l’Argentina è stata la Copa América del 2019, nella quale, per sua stessa ammissione, non ha fornito delle prestazioni memorabili. Il percorso della Pulga si è interrotto in semifinale contro i padroni di casa del Brasile, in una gara che ha creato diverse polemiche, con lo stesso Messi protagonista, che ha accusato pesantemente la CONMEBOL: «Non è una scusa, il Brasile gestisce tutto, gioca in casa e per questo oggi influenza molto la CONMEBOL».

Durante la finale terzo-quarto posto – vinta – contro il Cile, è stato espulso insieme a Medel per un’accenno di rissa proprio con quest’ultimo, e al termine della gara ha rincarato la dose sulle polemiche: prima si è rifiutato di ritirare la medaglia e poi ha rilasciato dichiarazioni ancora più avvelenate: «Quello che ho detto l’ultima volta forse ha avuto il suo peso su quanto è successo. La corruzione, gli arbitri e tutto ciò che non consente di partecipare al calcio lo rovina un po’».

Successivamente Messi si è scusato per le sue dichiarazioni, e le iniziali pesanti squalifiche alle quali rischiava di andare in contro sono state revocate.


Resoconto del passato, con uno sguardo al futuro

Le discussioni tra i suoi detrattori e i suoi supporter sono estremamente polarizzate quando si parla di Argentina, ma la verità, come sempre, sta nel mezzo: Messi è un giocatore meraviglioso anche quando veste la maglia della Nazionale, ma è anche vero che in diverse partite importanti è totalmente sparito dal campo.

L’accusa che lo vede come uno che non tiene abbastanza alla Nazionale è chiaramente errata. Per Messi è proprio l’opposto, tiene così tanto all’Argentina che fatica a rendere sempre come fa con il Barcellona, è questo il suo reale problema: la fatica nel reggere la pressione.

Per tornare al solito e inevitabile paragone, Maradona attirava su di sé tutta la pressione e tutte le responsabilità che i suoi compagni non avrebbero potuto reggere. Messi, al contrario, ha quasi sempre respinto qualsiasi responsabilità che non fosse meramente tecnica o tattica, anche se negli ultimi tempi questo aspetto pare stia subendo un’evoluzione.

La sensazione – data anche dall’esagerata reazione ai fatti dell’ultima Copa América – è che per la prima volta Messi voglia davvero metterci la faccia ed esporsi in prima persona, mentre prima era solito nascondersi.

Inoltre l’alchimia con la squadra nel corso degli anni sembra notevolmente cambiata, prima faticava a rapportarsi con loro, adesso invece il gruppo sembra estremamente legato a lui, probabilmente anche perché molti dei suoi nuovi compagni sono ragazzi che sono cresciuti con il mito di Messi. Rodrigo De Paul ha recentemente dichiarato che «se te lo chiedesse andresti anche in guerra per lui», a testimonianza di quanto detto.

Se c’è una cosa che è sempre mancata a Messi con l’Argentina è proprio questa, la leadership che andasse oltre quella tecnica, e chissà che adesso non riesca a cambiare la sua personale storia con la maglia albiceleste. La Pulga non deve dimostrare nulla a nessuno, la sua grandezza è già risaputa e chiara a tutti, deve farlo per sé stesso, per quel sogno che fin da bambino aveva.

Il primo appuntamento che non può permettersi di tradire – COVID permettendo – è quello della Copa América 2021, poi il sogno e il canto del cigno sarà probabilmente il Mondiale qatariota del 2022, l’ultima occasione per portare la sua gente sul tetto del mondo, con magari qualcuno da lassù che spingerà il pallone in porta insieme a lui.

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