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Kim Vilfort, eroe senza lieto fine

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Nelle storie di fantasia gli eroi trionfano sempre. Non importa che siano invincibili di partenza o che rischino più volte il tracollo, alla fine, in un modo o nell’altro, riescono a vincere. C’è sempre un lieto fine. Purtroppo, la vita non è un fumetto, un libro né tantomeno un film, e capita che gli eroi escano sconfitti. Questa è la storia del danese Kim Vilfort, eroe calcistico nazionale che poco dopo aver raggiunto la sua più grande soddisfazione sportiva di sempre, ha vissuto l’evento più drammatico della sua vita.



È l’estate del 1992, in tutte le radio impazza ‘Knockin’ on Heaven’s Door‘ dei Guns N’ Roses, Oscar Luigi Scalfaro è da poco tempo diventato il nono Presidente della Repubblica Italiana e il 10 giugno inizia la nona edizione del Campionato Europeo di Calcio. Si gioca in Svezia, per la prima volta nella storia della competizione.

Euro ’92 è stato l’ultimo Europeo con sole otto squadre partecipanti, ed ebbe una storia a dir poco tormentata. Al termine delle qualificazioni, oltre alla Svezia partecipante di diritto in quanto ospitante della manifestazione, si qualificarono alla fase finale del torneo Inghilterra, Francia, Germania, Olanda, Scozia, Unione Sovietica e Jugoslavia. Vari avvenimenti di carattere politico, però, sconvolsero i destini delle ultime due. I sovietici, dopo la dissoluzione dell’URSS, parteciparono come Comunità degli Stati Indipendenti, mentre i secondi vennero estromessi dall’ONU per via delle guerre balcaniche che sconvolgeranno la cartina geo-politica dell’est Europa.

Il posto della Jugoslavia venne preso dalla squadra classificatasi come seconda nel girone di qualificazione degli slavi, vale a dire la Danimarca dei fratelli Laudrup, del portierone del Manchester United Peter Schmeichel, e, per l’appunto, di Kim Vilfort.

Come si può ben intuire, il CT danese Richard Moller Nielsen si ritrovò in difficoltà nel fare le convocazioni in pochissimo tempo – la Jugoslavia venne squalificata a soli dieci giorni dall’inizio della competizione – e con i giocatori ormai in piena vacanza, motivo per cui ad esempio la stella della squadra Michael Laudrup declinò la convocazione. Chi non poteva mancare era proprio Vilfort, fedelissimo del tecnico e uno dei migliori elementi della rosa.

Natio di Copenaghen, Vilfort era un centrocampista difensivo, classico uomo squadra con sette polmoni, uno di quei giocatori che fanno impazzire gli allenatori per grinta e altruismo. La sua carriera è legata indissolubilmente al Brondby, club con cui riuscirà a vincere da assoluto protagonista ben sette campionati in dodici anni di militanza, mettendo a referto la bellezza di 110 gol in 470 partite, tantissimi per uno che solitamente macina kilometri in mezzo al campo.



La Danimarca non si presenta certo come favorita, arrivata a giocarsela un po’ per caso e soprattutto finendo nello stesso girone di Svezia, Francia e Inghilterra, ma i ragazzi in biancorosso non si lasciano scoraggiare e decidono di fare quanto possibile per onorare al meglio la competizione, sono tutti concentrati sulle prossime partite. Tutti, tranne uno: Vilfort.

Kim sta vivendo un dramma familiare non indifferente, uno di quelli che un padre non vorrebbe mai vivere. La piccola Line, figlia del centrocampista, è affetta da leucemia e sembra non restarle molto tempo da vivere. Vilfort si trova in Svezia, ma la testa è a Copenaghen, e non potrebbe essere altrimenti.

Nelle prime due partite la Danimarca raccoglie appena un punto contro Inghilterra e Svezia, un pareggio per 0-0 la prima gara, una sconfitta contro i padroni di casa alla seconda, firmata dal centrocampista del Parma Tomas Brolin. Vilfort, che approfittando della ridotta distanza tra i due paesi coglie spesso l’occasione per far visita alla figlia, decide, in accordo con squadra e allenatore, di non giocare l’ultima partita del girone contro la Francia di mister Platini. A sorpresa, nonostante gli avversari potessero disporre di una coppia d’attacco formata da Éric Cantona e Jean-Pierre Papin, la Danske Dynamite riuscì a centrare la vittoria e a qualificarsi inaspettatamente per la semifinale del torneo.

Gli avversari sono quanto mai ostici, i danesi dovranno infatti vedersela contro i campioni in carica dell’Olanda, favoriti per la vittoria finale. Gli olandesi vedono tra le proprie fila il trio delle meraviglie rossonero formato da Marco van Basten, Frank Rijkaard e Ruud Gullit, ma anche i vari Ronald Koeman, Danny Blind, Dennis Bergkamp, Frank de Boer e Wim Jonk. Sulla carta sembra non esserci storia, ma il calcio ci ha spesso abituato alle sorprese. La squadra, un tutt’uno con il suo centrocampista e con il dramma che sta vivendo, sovverte il pronostico, portando ai rigori gli olandesi – 2-2 il risultato dopo i tempi regolamentari. Dagli undici metri van Basten viene ipnotizzato da Schmeichel, vero protagonista di quell’Europeo, che consegna ai suoi la finale.

L’ultimo atto del torneo è contro la Germania. Qualche anno prima Gary Lineker dichiarò: «Il calcio è un gioco semplice: ventidue uomini rincorrono un pallone per novanta minuti, e alla fine la Germania vince», ma non aveva ancora visto questa partita. La Danimarca era chiaramente inferiore sul piano tecnico, ma alle volte capita che una squadra, indipendentemente dal talento, risulti essere imbattibile, e che qualcosa non gli permetta di perdere in alcun modo.

In quel di Göteborg la Danimarca gioca una partita meravigliosa, e su tutti spicca proprio Vilfort, che fa avanti e indietro in mezzo al campo un centinaio di migliaia di volte. Vuole vincere, regalare una gioia alla sua Nazione e fare un regalo alla sua piccola. I danesi passano in vantaggio nel primo tempo grazie ad una bordata di John Jensen – compagno di Vilfort al Brondby –, dopodiché Schmeichel indossa il mantello di Superman e vola sui tentativi dei teutonici. A poco più di dieci minuti dallo scadere, viene lanciata una palla lunga sulla destra verso Vilfort, che con un movimento a rientrare manda in controtempo Andreas Brehme prima di calciare col mancino. Il tiro, rasoterra, bacia il palo prima di insaccarsi in rete. Triplice fischio. Delirio dei rød-hvide.

La Danimarca è campione d’Europa, per la prima volta nella sua storia. La cenerentola della competizione, ripescata, con giocatori convocati tra un cruciverba e una birra sotto l’ombrellone, è sul tetto del proprio continente, e proprio grazie ad un gol di Kim.

Purtroppo, la vita non è un fumetto, un libro né tantomeno un film, e non sempre c’è un lieto fine. Poche settimane dopo la più grande vittoria calcistica danese, la sorte non è clemente con la famiglia Vilfort e la leucemia stronca la vita della piccola Line, senza che questa potesse riuscire ad affacciarsi al mondo.

Kim si ritira dal calcio giocato nel 1998, iniziando subito ad allenare le giovanili del Brondby – incarico che manterrà per oltre un ventennio. Nel 2014 la DBU – la Federazione calcistica della Danimarca –, nella celebrazione del centenario del massimo campionato del Paese, lo insignisce del titolo di calciatore del secolo della competizione.

Kim Vilfort è stato un giocatore che ha segnato la storia del calcio del suo paese, ma allo stesso tempo un eroe che, dallo scontro con la vita, è uscito sconfitto.

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