Il Manchester United, dopo diverse annate estremamente deludenti, sembra stia lentamente tornando ai vertici del calcio inglese. Nonostante i disastrosi risultati, quello che i Red Devils negli anni non hanno perso è il coraggio di far esordire molti giovani, e diversi di questi, come Greenwood, Rashford, McTominay e Shaw, sono diventati dei giocatori importanti della prima squadra.
Tuttavia, vi sono stati anche dei flop clamorosi, come Januzaj, McNair, Blackett e soprattutto Andreas Pereira. Soprattutto perché il ragazzo brasiliano era il giocatore su cui erano riposte le maggiori speranze dello United. Purtroppo, la stella di Andreas Pereira ha lentamente perso luminosità, fino a spegnersi completamente, venendo praticamente obbligata ad andarsene da Old Trafford, alla ricerca di una squadra che credesse ancora nelle sue enormi potenzialità.
Un talento “internazionale”
Marcos Pereira è un modesto calciatore brasiliano che insegue il suo sogno in Europa, che nel 1995 si trova a giocare per la squadra di Duffel, una pittoresca cittadina delle Fiandre. Qui, l’1 gennaio del 1996 nasce suo figlio, Andreas, avuto dal matrimonio con Anaida, una donna belga con ascendenze tedesche.
Nel sangue di Andreas, quindi, scorrono tre personalità completamente diverse: da una parte troviamo la fantasia del calciatore carioca, dall’altra l’intraprendenza di un mercante belga, il tutto condito con un pizzico di freddezza tedesca. Tutto questo Andreas lo esprime con il calcio, lo sport che sin da piccolo ama follemente: il suo sogno nel cassetto, ovviamente, è quello di diventare un calciatore professionista.
Gli inizi nei Paesi Bassi e l’apparente esplosione in Inghilterra
Il padre nota subito l’unicità del figlio e lo porta nei Paesi Bassi per un provino con il PSV, che decide di tesserarlo e di unirlo alle giovanili. Pereira mostra da subito tutto il suo talento da trequartista purissimo: è perfettamente ambidestro, è dotato di una tecnica sopraffina e allo stesso tempo è un giocatore maturo, che non cerca mai la giocata inutile e che, disponendo di un ottima visione di gioco, si abbassa spesso per prendere il pallone ed orchestrare la manovra della propria squadra, che dipende interamente dalle sue qualità.
Nel 2010 Andreas Pereira fa il suo esordio nell’Under-15 belga e il suo nome comincia a circolare sui taccuini dei principali club europei: lo United ne rimane stregato, e pur di convincerlo manda nei Paesi Bassi Sir Alex Ferguson in persona. Trovatosi di fronte una leggenda del calcio inglese e mondiale, Andreas non può rifiutare e si unisce formalmente allo United, perché per entrare concretamente nella squadra dovrà prima compiere 16 anni. L’1 gennaio successivo, quindi, arriva in Inghilterra. I paragoni si fanno subito pesantissimi: c’è chi lo paragona a Hernanes – che all’epoca stava stupendo tutti alla Lazio – per il suo enorme talento e per le sue grandi doti balistiche, ma lui dice di ammirare Kakà.
Dopo 3 anni ad alti livelli nell’Under-21, di cui diventa rapidamente il leader tecnico e caratteriale, arriva il momento dell’esordio fra i professionisti, che si materializza il 26 agosto del 2014, nella partita di Footboall League Cup contro il Milton Keynes Dons, mentre l’esordio in Premier avviene 7 mesi dopo, il 15 marzo, in occasione della vittoria per 3-0 contro il Tottenham. A fine stagione viene eletto miglior Under-21 del Manchester United e l’allenatore van Gaal si dice pronto a farlo diventare il miglior trequartista al mondo: i tifosi sono estasiati da quel giocatore incredibilmente tecnico, che con le sue movenze eleganti è capace di stravolgere gli schemi difensivi degli avversari. Pereira, però, non è pronto per prendersi tutte quelle responsabilità e gioca la maggior parte della stagione con la formazione Under-21, con cui brilla e mette in mostra tutto il suo talento, facendo solo qualche comparsa con una prima squadra con cui, purtroppo, non riesce a dimostrare tutto il suo valore.
Alti e bassi in Spagna
Lo United continua a crederci, ma decide di mandarlo in prestito al Granada per permettergli di crescere in un ambiente meno stressante, e questa scelta si rivela vincente: Pereira si guadagna subito un posto da titolare e a fine stagione sono 5 i gol e 3 gli assist realizzati, con in mezzo tante prestazioni di qualità e pochissimi momenti negativi, che non mettono in alcun modo in ombra il suo enorme talento. I primi problemi del brasiliano, tuttavia, sono alle porte.
La stagione successiva lo richiede in prestito il Valencia, una società sicuramente più competitiva rispetto al Granada, con cui Pereira comincia a far intravedere qualche pericoloso limite, come la scarsissima efficacia sotto porta: in tutta la stagione infatti il trequartista brasiliano segna appena 1 gol, apparendo come un giocatore troppo fumoso per giocare ad alti livelli. I suoi dribbling prima efficaci diventano solo un freno alla sua fantasia, e quello che era un trequartista abilissimo nell’assistere i compagni diviene un banale regista capace di passare la palla solo in orizzontale, non riuscendo a trascinare la propria squadra con il suo sconfinato talento.
Una promessa mancata
Nonostante tutto, la dirigenza dello United decide di riportarlo alla base, andando così contro la volontà di Mourinho, che l’aveva subito definito un giocatore non idoneo al suo gioco. Infatti, Pereira passa la prima parte di stagione fra la panchina e la tribuna, trovando il tempo di esordire con la Nazionale brasiliana e facendo qualche apparizione ogni tanto, giusto per far confermare a tutti noi la sua esistenza. Quando subentra Solskjaer, però, il trequartista brasiliano diventa un elemento quasi imprescindibile nella formazione dei Red Devils, apparentemente senza motivazioni valide, dato che il suo apporto in fase realizzativa è quasi nullo, e per un giocatore offensivo non essere utile in fase offensiva spesso significa non essere utile in alcun modo: i tifosi e gli addetti ai lavori storcono il naso, ma Solskjaer lo difende con forza, affermando che è fondamentale per mantenere gli equilibri tattici durante la partita.
Nella prima parte della stagione 2019/2020, quindi, il tecnico norvegese insiste con forza sulle sue qualità, ma Andreas Pereira non riesce in alcun modo a incidere: il talento è sotto gli occhi di tutti, ma manca la personalità, come se le qualità del brasiliano fossero un iceberg nell’oceano. Un iceberg che, esposto ad una luce troppo forte, finisce inesorabilmente per liquefarsi e uniformarsi a tutto il resto.
Per avere una conferma di questo, basta vedere quanti minuti di gioco ha messo insieme nel girone d’andata e nel girone di ritorno: nel primo, il brasiliano gioca circa 1070 minuti, rimanendo in panchina in sole tre occasioni, che portano rispettivamente a due sconfitte e un pareggio. Nella seconda parte di stagione invece, con l’arrivo di Bruno Fernandes, l’ex PSV scende in campo per soli 420 minuti, giocando addirittura solo 36 minuti nelle ultime 12 partite, che vedono protagonisti i Red Devils di una cavalcata straordinaria che li porta dal settimo al terzo posto.
La sua centralità nel progetto di Solskjaer viene quindi ampiamente messa in discussione, con Pereira che finisce ai margini di un Manchester United che non crede più in lui. Pochi lampi e tante ombre per quello che doveva essere il nuovo Kakà, che invece ha steccato clamorosamente in quasi ogni apparizione, finendo addirittura per passare in tribuna gli ultimi attimi della stagione. Gli appena 2 gol e 4 assist, inoltre, non hanno fatto altro che accrescere quel senso di delusione che aleggiava intorno alla sua figura già da qualche tempo. Andreas ormai sembra essere entrato in un turbine di mediocrità che rischia di ridurlo a semplice comparsa all’interno del mondo del calcio, pur essendo un giocatore dotato di grandi qualità.
La rinascita?
Nel corso di quest’ultima estate è emersa la sua volontà di andarsene da quel nido che ne aveva brutalmente imprigionato il talento, rendendolo “uno dei tanti” e non “uno sui tanti”. A metà settembre si è fatta avanti la Lazio, che era alla ricerca di un elemento capace di compensare l’eventuale mancanza di Luis Alberto, e a fine mese ha accelerato in virtù dell’improvviso dietrofront di David Silva.
L’operazione prevede un prestito con diritto di riscatto fissato a 27 milioni di euro. Tanti, tantissimi, forse troppi per un giocatore che a 24 anni era ed è tuttora una promessa mancata. Negli ultimi anni la Lazio, nelle figure di Igli Tare e Simone Inzaghi, ci ha spesso visto lungo su alcuni giocatori, e chissà che Andreas Pereira non possa rientrare in questa lista.
Nella sua prima parte di stagione biancoceleste, però, non ha ancora brillato. Per essere precisi, non ha nemmeno avuto la possibilità di brillare, giocando appena 317 minuti spalmati su 13 presenze totali, per una media di appena 15 minuti a partita. L’unico acuto è stato il gran gol realizzato contro il Torino: un destro di controbalzo a infilarsi nell’angolo lontano della porta difesa da Sirigu.
Casualmente, questo gol è stato realizzato proprio al 15esimo minuto, e l’ex United rischia quindi di aver già vissuto i 15 warholiani minuti di celebrità. La possibilità che in maglia biancoceleste non li riviva mai più, complice l’ingombrante presenza di Luis Alberto, non è trascurabile. Per quanto entrambi siano due trequartisti dotati di grande tecnica, infatti, le differenze non mancano: Pereira è nettamente più individualista, meno raffinato e più duttile, mentre lo spagnolo è un giocatore associativo e geniale, capace di inventare spazi e giocate come sanno fare solo pochissimi altri giocatori in Serie A. Difficile, quindi, che il brasiliano riesca a trovare un ruolo importante negli schemi dell’allenatore biancoceleste, anche se la stagione calcistica è lunga e imprevedibile.
Per il momento Andreas Pereira rimane una promessa mancata, schiacciata dalle troppe aspettative create attorno ad un talento puro, ma estremamente fragile. Come una sorgente d’acqua che, fin quando rimane incorrotta e inesplorata, dà alla luce un’acqua cristallina, mentre, una volta scoperta, perde tutta la sua misteriosa magia.
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- Andreas Pereira, la promessa mancata: Oscar | CC BY-SA 2.0 Generic