Alla lettera ‘C’ del vocabolario italiano, tra «centratura» e «centreuropeo» è presente la parola «centravanti». Per spiegare il termine nel miglior modo possibile, al posto della classica definizione, dovreste poter trovare una foto, quella di Gerhard Müller, per tutti Gerd, attaccante che nel corso della sua strabiliante carriera ha riassunto alla perfezione il ruolo del numero nove.
E pensare che il suo primo allenatore al Bayern, Zlatko Čajkovski, vedendolo per la prima volta a 19 anni, reagì con un’espressione stizzita: «Tutto qui?», riferendosi alla tecnica non proprio raffinata e alla corporatura tutt’altro atletica del ragazzo. Il tempo lo farà ricredere.
Da Nördlingen alla Bundesliga
Nördlingen è una piccola cittadina al confine tra Baviera e Baden-Württemberg, i due principali Stati federati del sud della Germania, ed è qui che, il 3 novembre del 1945, pochi mesi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nasce Gerd Müller.
Il piccolo Gerhard, come tanti ragazzi della sua epoca, inizia a giocare a calcio per strada, anche perché tra le rovine della sua città, trovare un campo vero dove giocare è tutt’altro che semplice. Ma Gerd ha qualcosa in più rispetto agli altri ragazzi, e per lui un campo si trova: è quello del TSV Nördlingen, la squadra della sua città. Entra nelle giovanili a 15 anni, nel 1960, e debutta con i grandi appena due stagioni dopo. In quell’anno gioca 3 partite nell’allora quinta divisione, dimostrando subito una naturale confidenza con il gol.
Nella stagione successiva Müller trascina la squadra alla promozione in quarta divisione, mettendo a segno 47 reti in 28 apparizioni: cifre surreali, che saranno una costante della sua carriera.
Le straordinarie prestazioni di Müller attirano l’interesse delle due squadre più importanti della Baviera: il Monaco 1860 e il Bayern Monaco. Contrariamente a quanto si possa immaginare oggi, i primi erano una tra le migliori squadre della Germania Ovest, mentre i secondi militavano addirittura in Regionalliga – all’epoca la seconda divisione del calcio tedesco, oggi la quarta.
Il Monaco 1860 ha la preferenza di Gerd e della sua famiglia, e il club riesce a fissare un appuntamento per assicurarsi il giocatore. Ma Wilhelm Neudecker, presidente del Bayern, gioca d’anticipo: fa incontrare il ragazzo con un dirigente del club qualche ora prima dei rivali, riuscendo a fargli cambiare idea. A convincerlo, soprattutto, è la promessa di un posto da titolare, che dai Löwen non sarebbe stato garantito.
Senza l’insistenza di Neudecker, molto probabilmente la storia del calcio tedesco – e sicuramente quella del Bayern – sarebbe stata ben diversa. «Senza Gerd, saremmo rimasti a lungo nelle baracche di legno», dichiarerà anni dopo Beckenbauer.
Ma il già citato Zlatko Čajkovski, almeno all’inizio, è di diverso avviso. Oltre alla smorfia, rincara laconicamente la dose: «Ma cosa devo farmene di un sollevatore di pesi?».
Nelle prime uscite Gerd resta sempre in panchina. Poi, complice l’assenza di punte e la pressione del presidente Neudecker, l’allenatore decide di dare una chance al giovane attaccante svevo. La partita in questione è contro il Friburgo, e il Bayern – nettamente troppo forte per la categoria –, dilaga con un clamoroso 11-2. Müller, ovviamente, segna. E da quel momento non lascia più il campo.
I bavaresi dominano il campionato e vengono promossi in Bundesliga, chiudendo con 146 gol in 36 partite, e il giovane Gerd è il miglior marcatore della squadra: 39 gol in 32 presenze.
I primi successi teutonici
La prima stagione in Bundesliga va oltre le aspettative: dopo tre giornate, il Bayern è in testa da solo, e mantiene la leadership del campionato fino all’ottavo turno, dove viene superato dal Monaco 1860.
Da lì in poi, il rendimento cala leggermente e il titolo diventa un affare tra i rivali cittadini e il Borussia Dortmund, con i primi che la spuntano sui secondi. Gerd Müller e compagni chiudono comunque al terzo posto e si tolgono la soddisfazione di vincere la Coppa di Germania, qualificandosi di conseguenza per la prestigiosa Coppa delle Coppe, all’epoca seconda solo alla Coppa dei Campioni.
La squadra, nonostante sia appena approdata nel salotto buono del calcio tedesco, poggia subito su basi solide: ci sono giocatori esperti e adatti per la categoria, ma Čajkovski ha il merito di puntare sui giovani. Già dall’anno precedente, oltre a Gerd, vengono portati in prima squadra due ragazzi del vivaio molto promettenti: il portiere Sepp Maier e il centrocampista – e futuro libero – Franz Beckenbauer, che diventeranno i pilastri dei primi grandi successi nella storia dei bavaresi, oltre che colonne della Nazionale tedesca. Basti pensare che, prima della Coppa di Germania del 1966, il Bayern aveva vinto un solo trofeo: proprio la coppa nazionale, nel decennio precedente.
L’anno successivo i rossi di Monaco centrano un clamoroso double: oltre a bissare il successo in DFB-Pokal, conquistano il primo trofeo continentale della propria storia, la Coppa delle Coppe. Dopo aver eliminato in sequenza Tatran Prešov, Shamrock Rovers, Austria Vienna e Standard Liegi, i ragazzi di Čajkovski battono per 1-0 i Rangers nella finale “casalinga” di Norimberga. Gerd Müller si presenta all’atto conclusivo da capocannoniere della competizione, ma il gol decisivo lo mette a segno il ventunenne mediano Franz Roth, altro ragazzo proveniente dalle giovanili dei Roten.
Le energie profuse in questi due tornei si ripercuotono inevitabilmente sul campionato, che il Bayern conclude fuori dalla zona Europa. Ma la vittoria in Coppa delle Coppe vale comunque l’accesso all’edizione successiva, in quanto detentori del trofeo. Nonostante il sesto posto in Bundesliga, Gerd Müller vince la prima classifica marcatori della sua carriera, segnando 28 gol in 32 partite.
Le prestazioni sempre più clamorose gli valgono la prima convocazione in Nazionale, per un’amichevole contro la Turchia. Non segna, ma si rifà con gli interessi alla seconda presenza, valida per le qualificazioni all’Europeo del 1968, contro l’Albania: in quell’occasione, Gerhard da Nördlingen ne fa addirittura quattro.
Nella stagione 1967/1968 i bavaresi migliorano leggermente il piazzamento in campionato, chiudendo al quinto posto. Non arriva però la riconferma né in Coppa di Germania né in Europa: in entrambi i casi la squadra si ferma in semifinale, eliminata rispettivamente da Bochum e Milan. Gerd non fa comunque mancare il suo apporto, iscrivendo il proprio nome al tabellino dei marcatori per 30 volte in 46 partite.
L’annata senza particolari acuti costa la panchina a Čajkovski, che viene sostituito da un altro jugoslavo: Branko Zebec. Il nuovo allenatore rimane alla guida del Bayern per sole due stagioni, ma il suo impatto è decisivo, sia per la squadra che per lo stesso Müller.
Nella prima annata, guida subito i rossi alla conquista della prima Bundesliga della loro storia – trascinati da un Müller nuovamente capocannoniere, con 30 gol. Il trionfo è completato dalla terza Coppa di Germania in quattro anni, grazie a una doppietta decisiva di Gerd nella finale vinta per 2-1 contro lo Schalke 04.
L’anno successivo, il Bayern debutta in Coppa dei Campioni, ma viene eliminato ai sedicesimi di finale dal Saint-Étienne. In campionato – nonostante i 38 gol di Müller, che gli valgono la prima Scarpa d’Oro della sua carriera – i bavaresi non riescono a riaffermarsi, arrivando secondi a -4 dal Borussia Mönchengladbach, che nel decennio successivo diventerà il principale rivale del Bayern – tra il 1970 e il 1977 il Gladbach vincerà ben cinque titoli.
La squadra di Zebec non trova consolazione nemmeno in Coppa di Germania, dove viene clamorosamente eliminata ai quarti di finale dal Norimberga, squadra di seconda divisione. A otto giornate dal termine, il nativo di Zagabria viene esonerato e sostituito da Udo Lattek.
Se a Čajkovski va riconosciuto il merito, nonostante le perplessità iniziali, di aver lanciato Müller in prima squadra, a Zebec spetta quello di avergli fatto perdere qualche chilo di troppo con i suoi allenamenti estenuanti. Così, quella che era una macchina da gol leggermente in sovrappeso, diventa una macchina da gol perfettamente rifinita, anche dal punto di vista atletico – fattore tutt’altro che scontato nel calcio degli anni Sessanta.
I metodi di Zebec si rivelano importantissimi anche nel lungo periodo: da quel momento, il Bayern si trasforma in una squadra dominante dal punto di vista fisico. Una caratteristica che, unita alla grande tecnica dei suoi interpreti, si traduce in una continuità di risultati impressionante.
L’imposizione internazionale, tra Bayern e Mannschaft
Le medie realizzative di Gerd Müller, sia con il club che con la Nazionale – nelle 6 partite di qualificazione alla Coppa del Mondo del 1970 mette a segno ben 9 reti –, fanno del centravanti del Bayern il titolare designato anche per la spedizione messicana.
La Germania Ovest si presenta con una squadra molto forte: ai veterani della finale persa nel 1966 – Uwe Seeler, Wolfgang Overath, Karl-Heinz Schnellinger, Willi Schulz –, si uniscono i giovani destinati a diventare la spina dorsale del trionfo del 1974 – Sepp Maier, Berti Vogts, Jürgen Grabowski e lo stesso Müller. Il centro gravitazionale della squadra rimane Franz Beckenbauer, già leader a 21 anni nel 1966, e destinato a esserlo anche ai Mondiali casalinghi di quattro anni dopo.
La qualità di quella squadra esalta al massimo le caratteristiche di un centravanti come Müller, che gioca un Mondiale a dir poco straordinario: segna all’esordio contro il Marocco, firma due triplette consecutive contro Bulgaria e Perù, e realizza il gol del definitivo 3-2 ai supplementari nei quarti di finale contro i campioni in carica inglesi.
La semifinale, giocata nel mitico Azteca di Città del Messico, non ha bisogno di presentazioni: Italia-Germania Ovest 4-3, una delle partite più belle ed emozionanti nella storia di questo gioco. Gerd segna due reti nei supplementari, e il primo è semplicemente la definizione perfetta di gol di rapina: il difensore azzurro Fabrizio Poletti controlla di petto una palla vagante in area, ignaro del fatto che, mentre tutti sembrano fermi, Müller aveva già letto la situazione, avventandosi sul pallone e depositandolo in rete in una frazione di secondo, ingannando Enrico Albertosi con una traiettoria lenta ma letale. La doppietta non basta però alla Germania, che si deve accontentare della medaglia di bronzo, dopo aver battuto con un gol di Overath l’Uruguay, nell’unica partita dell’edizione in cui Gerd non va a segno.
Müller può consolarsi con il titolo di capocannoniere del Mondiale, chiudendo il torneo con 10 reti. Nella storia della competizione, solo il francese Just Fontaine nel 1958 (13) e l’ungherese Sándor Kocsis nel 1954 (11) hanno fatto meglio di lui. A fine anno arriva anche il riconoscimento individuale più prestigioso: il Pallone d’Oro. Gerd lo conquista superando in classifica nomi del calibro di Bobby Moore, Gigi Riva, Johan Cruijff, lo stesso Beckenbauer e il detentore uscente Gianni Rivera.
La stagione successiva, paradossalmente, non è trionfale. Il Bayern porta a casa solo la Coppa di Germania, battendo in finale 2-1 il Colonia di Overath, mentre in campionato arriva di nuovo secondo, a -2 dal Borussia Mönchengladbach. Per Gerd Müller arriva inoltre un’eccezione sorprendente: non vince la classifica marcatori. A batterlo è Lothar Kobluhn, attaccante semi-sconosciuto dell’Oberhausen, che chiude con 24 reti, con il bomber bavarese fermo a “soli” 22 gol. È un evento più unico che raro: la stagione 1970/1971 resta l’unica tra il 1969 e il 1974 in cui Müller non conquista il titolo di Torschützenkönig – letteralmente, “re dei gol segnati”, riconoscimento assegnato al miglior marcatore del campionato.
La squadra di Lattek si riscatta subito l’anno seguente: in campionato, con il Gladbach focalizzato soprattutto sulla Coppa dei Campioni – è l’anno della discussa “partita della lattina” tra la squadra renana e l’Inter –, il Bayern vince il suo secondo titolo. Gerd Müller è una furia, mette a referto 50 gol in 48 partite, andando a segno per 40 volte soltanto in campionato e senza calciare rigori. Una cifra sensazionale, che gli permetterà di conquistare la sua seconda Scarpa d’Oro e di stabilire il record di marcature in una singola stagione di Bundesliga, rimasto imbattuto per quasi cinquant’anni e superato solo nella stagione 2020/2021 da un altro fuoriclasse del Bayern come Robert Lewandowski.
L’annata appena conclusa è quella della svolta, quella che dà il via ai successi del Bayern anche in Europa. Già dall’anno prima arrivano stabilmente in prima squadra giovani interessanti: il centrocampista Rainer Zobel, ma soprattutto i due attaccanti Uli Hoeness e Paul Breitner. Il primo si conquista sin da subito il posto in avanti, creando una coppia devastante con Müller, mentre il secondo si impone come terzino – ruolo nel quale viene adattato da Lattek per esigenza, un paradosso visto che poi diventerà uno dei migliori interpreti del ruolo nella storia del calcio.
I frutti del lavoro di Lattek si vedono anche indirettamente in Nazionale, che nell’estate 1972 va a giocare la fase finale dell’Europeo in Belgio. I tedeschi vincono agevolmente il proprio girone di qualificazione, con Müller che segna 6 gol in 5 partite. In aprile Gerd segna ancora nel 3-1 rifilato all’Inghilterra nei quarti di finale, qualificando i tedeschi alla final four – che al tempo era ufficialmente il “vero” Europeo: tutte le partite fino ai quarti erano considerate gare di qualificazione. Le convocazioni di Helmut Schön rispecchiano perfettamente l’allora dominante dualismo nel calcio tedesco: su diciotto calciatori da portare in terra belga, ben tredici giocano nel Bayern o nel Gladbach. Nonostante siano in leggera minoranza – sei contro sette –, tutti i calciatori bavaresi sono schierati nell’undici titolare, contro i quattro del Borussia – l’unico “estraneo” è l’attaccante Erwin Kremers, in forza allo Schalke 04.
La semifinale mette di fronte i tedeschi e i padroni di casa. La formazione belga, nonostante abbia tra le sue fila un fuoriclasse come Paul Van Himst – considerato a lungo il miglior calciatore mai prodotto dal Belgio –, non può nulla contro lo strapotere tedesco: Gerd Müller segna un gol per tempo portando i suoi sul 2-0, con i belgi che dimezzano il risultato soltanto a dieci minuti dalla fine, non riuscendo nella rimonta. L’altra semifinale, giocata tra URSS e Ungheria, vede i sovietici prevalere per uno a zero.
L’atto conclusivo del torneo si disputa all’Heysel di Bruxelles, e nonostante sia una finale, il dominio della Germania Ovest è ancora più netto rispetto al match contro i belgi: Gerd apre le marcature al 27’ con uno dei suoi pezzi forti: dopo un’azione meravigliosa dei teutonici che termina con la traversa di Netzer, Jupp Heynckes, fortissimo centravanti del Gladbach – a livello di club aveva una media realizzativa simile a quella di Müller –, stoppa il pallone rinviato e calcia in porta da posizione defilata; la parata del portiere sovietico Rudakov respinge in mezzo all’area dove sono presenti ben quattro suoi compagni, due dei quali cercano di marcare stretto quella furia con la maglia numero tredici: nulla da fare, l’attaccante del Bayern anticipa tutti e mette dentro.
L’inizio della ripresa mette fine alle speranze sovietiche, con Wimmers che raddoppia al minuto 52, mentre il gol del definitivo tre a zero viene messo a segno ancora da Müller sei minuti dopo, con un’azione da vero centravanti moderno. Il centravanti tedesco, fortemente marcato, decide di andare a prendere il pallone a una trentina di metri dalla porta, servito dal difensore Schwarzenbeck, ritrovandosi così libero di avanzare verso i sedici metri; dopo uno scatto iniziale palla al piede, serve Heynckes al limite dell’area per poi inserirsi di prepotenza; l’attaccante del Gladbach non ripassa subito il pallone a Gerd, ma con tocco di prima trova di nuovo Schwarzenbeck, il cui inserimento da dietro ha completamente mandato in tilt i meccanismi difensivi dell’URSS; il centrale bavarese controlla male e tocca involontariamente per Müller, e non poteva andargli meglio: gol e partita in ghiaccio.
La Germania Ovest è per la prima volta Campione d’Europa, Gerd vince di nuovo la classifica marcatori. I numeri, uniti a quelli con il Bayern, sono impressionanti: complessivamente nell’anno solare 1972 realizza 85 reti in 60 partite – record fino al 2012, quando Lionel Messi ne ha messi a referto 91 in 69 presenze. Nonostante questo, non riesce a vincere il suo secondo Pallone d’Oro, poiché il premio vede vincitore il suo compagno Beckenbauer. Quella versione della Nazionale tedesca è una delle migliori e dominanti di sempre, forse migliore di quella del ’74, con Gerd Müller e Kaiser Franz nel loro prime e un centrocampo retto dalla straordinaria genialità di Günter Netzer del Gladbach.
Nei successivi due anni il Bayern Monaco vince ancora il campionato, con Gerd Müller dominatore dei cannonieri in entrambe le stagioni – nella seconda a pari merito con Heynckes. Ma il trionfo più importante è quello in Coppa dei Campioni nel 1974. Per accedere alla finale la compagine di Lattek elimina nell’ordine gli svedesi dell’Åtvidaberg, i tedeschi orientali della Dinamo Dresda, i bulgari del CSKA Sofia – giustizieri dell’Ajax – e gli ungheresi dell’Újpest. L’ultimo ostacolo prima della coppa si chiama Atlético Madrid, anch’esso alla prima finale del massimo trofeo continentale. Gli spagnoli, avversari molto forti fisicamente, si affidano soprattutto alle giocate del suo elemento di maggior talento, il trequartista trentaseienne Luis Aragonés, alla sua ultima partita da calciatore e con il posto da allenatore dei colchoneros già riservato all’inizio della stagione successiva.
Il match, giocato nello stesso stadio della finale degli Europei di due anni prima, ovvero l’Heysel, è molto equilibrato, con i madrileni che resistono molto bene agli attacchi del Bayern. Müller è autore di una partita anonima, marcato molto bene dalla difesa biancorossa. Al 90’ il risultato è ancora inchiodato sullo zero a zero, e si va così ai supplementari. Al minuto 114 l’Atlético passa clamorosamente in vantaggio con una splendida punizione dal limite di Aragonés. Sembra l’ingrediente perfetto per una storia di calcio incredibile, ma non c’è nessuno migliore dei tedeschi nel distruggere le favole calcistiche, e questa finisce a pochi secondi dal triplice fischio. Come due anni prima ci pensa il provvidenziale Schwarzenbeck: questa volta non si limita all’assist, ma va direttamente a segnare con un bellissimo tiro da fuori area. A quel tempo non erano previsti i calci di rigore, ma la ripetizione della partita, che viene giocata due giorni dopo, il 17 maggio 1974. Questa volta non c’è storia: Hoeness porta in vantaggio i tedeschi a metà del primo tempo, mentre nella ripresa si scatena l’uragano Gerd Müller. Il numero nove dei Roten mette a segno doppietta nel giro di un quarto d’ora, poi Hoeness chiude la questione con la rete del definitivo 4-0. Il Bayern Monaco è Campione d’Europa per la prima volta nella propria storia, ed è la prima squadra tedesca a vincere la Coppa dalla Grandi Orecchie.
Der Bomber sul tetto del Mondo
In estate ci sono i Mondiali, organizzati proprio dalla Germania Ovest. La Mannschaft, reduce rispettivamente da un secondo e un terzo posto nelle due precedenti edizioni, vuole a tutti i costi riportare la Coppa a casa dopo vent’anni dal primo trionfo. La Nazionale di Schön, qualificata di diritto, viene inserita in un girone sulla carta non difficile ma comunque insidioso con Cile, Australia e soprattutto con i cugini della DDR.
La prima partita, giocata contro i sudamericani, vede la Germania faticare e spuntarla soltanto per 1-0 con un gran gol di Breitner, in un match ricordato soprattutto per la prima espulsione con il cartellino rosso nella storia dei Mondiali: il protagonista in negativo è l’attaccante cileno Carlos Caszely, divenuto famoso non solo per la sua bravura in campo, ma anche e soprattutto per la sua netta opposizione al regime di Augusto Pinochet. La seconda gara, contro l’Australia, è più agevole e dà ai tedeschi occidentali la qualificazione nonostante un gioco non brillante. Finisce 3-0 e Gerd segna la terza rete all’inizio del secondo tempo.
All’ultima del girone c’è l’atteso Derby tra le due Germanie, con la squadra di Schön data nettamente favorita. Entrambe le formazioni sono già qualificate, ma il primo posto del girone è ancora totalmente in ballo. Lo svolgimento del match sembra andare come da copione, con la Germania Ovest a fare la partita e i cugini orientali ad aspettare per colpire in contropiede. I padroni di casa colpiscono anche un palo, ma non riescono a portarsi in vantaggio. Al minuto 77 accade l’imponderabile: la mezzala della DDR Sparwasser, con una splendida azione personale, porta in vantaggio la sua squadra e il risultato non cambierà più fino al triplice fischio. I 50.000 occidentali accorsi al Volksparkstadion di Amburgo sono ammutoliti, mentre la minoranza orientale festeggia. La partita rinvigorisce l’orgoglio nazionale dalle parti di Berlino Est ed entra per sempre nella storia del calcio tedesco e non, ma gli occidentali possono guardare il lato positivo: arrivare secondi nel raggruppamento fa evitare a Gerd Müller e compagni la temibilissima Olanda nel girone finale.
Per la seconda fase del torneo Schön risolve l’unico equivoco tattico che comporta il dualismo a centrocampo tra Netzer ed Overath. In precedenza aveva provato a far coesistere i due, senza ottenere però l’effetto sperato, ma non era solo una questione tattica: l’anno precedente al Mondiale Netzer si trasferisce al Real Madrid, e da emigrato di lusso si procura le antipatie di buona parte della squadra. Il CT manda per la prima e ultima volta in campo il numero dieci merengue per gli ultimi venti minuti contro la Germania Est, giusto il tempo di prendere il gol decisivo dai cugini orientali. La prestazione mediocre di Netzer convince dunque il tecnico che il posto da titolare deve essere definitivamente di Overath, altro centrocampista dal talento sopraffino.
E in effetti la musica cambia decisamente: la Germania Ovest vince tutte e tre le partite, accedendo così alla finalissima. I tedeschi battono la Jugoslavia 2-0, con gol di Müller e Breitner, 4-2 la Svezia e 1-0 contro la Polonia, autentica rivelazione del torneo. Il gol decisivo contro i polacchi lo mette a segno ovviamente Gerd Müller. Nell’altro girone, l’Olanda di Rinus Michels domina e demolisce l’Argentina con un netto 4-0 e il Brasile campione in carica – ma comunque lontano parente di quello stratosferico del 1970 – per 2-0, risultato comunque incredibile considerato che i Paesi Bassi sono alla prima partecipazione ad un Mondiale.
La finale che tutti avevano previsto è ormai realtà: all’Olympiastadion di Monaco di Baviera c’è Olanda-Germania, due Paesi contraddistinti da una profonda rivalità – soprattutto per gli strascichi della Seconda Guerra Mondiale –, due Paesi così vicini ma così distanti dal punto di vista socio-culturale, tratto che si rispecchia anche negli stili delle due Nazionali di calcio: da una parte la rivoluzione in movimento, la costante ricerca dello spazio, il Totaalvoetbal, dove tutti devono saper far tutto, senza dare nessun punto di riferimento all’avversario; dall’altra abbiamo la concretezza, la forza mentale e fisica unita ad una enorme caratura tecnica, la classe di Beckenbauer e la potenza inarrestabile di Gerd Müller.
La formazione degli olandesi è in pratica quella dell’Ajax con qualche eccezione: in primis il portiere, Jongbloed, trentaquattrenne in forza all’FC Amsterdam, chiamato non tanto per la sua bravura tra i pali, ma quanto per la capacità di saper giocare con i piedi; due giocatori del Feyenoord – Jansen e van Hanegem –; Rensenbrink dell’Anderlecht e lo stesso Johan Cruijff, formalmente al Barcellona ma principale artefice delle fortune dei Lancieri.
Per quanto riguarda i tedeschi abbiamo il blocco del Bayern – Maier, Beckenbauer, Breitner, Schwarzenbeck, Hoeness e Müller –, due giocatori del Gladbach, due dell’Eintracht Francoforte e infine Overath, bandiera del Colonia.
L’incontro è affidato all’esperto arbitro inglese Jack Taylor, che si rende subito protagonista. Calcio d’inizio battuto dall’Olanda, che inizia a girare il pallone in difesa; dopo quindici tocchi sempre più rapidi il pallone arriva a Cruijff, che punta l’area di rigore; lo inseguono Vogts e Hoeness, con il secondo, meno esperto del primo in rottura, che stende Cruijff appena entrato nei sedici metri: calcio di rigore. È la prima volta che viene assegnato un rigore in una finale di Coppa del Mondo, ma soprattutto, a passare alla storia, è il fatto che sia stato assegnato dopo appena un minuto, senza che la Germania abbia ancora toccato palla. Il rigorista designato è Johan Neeskens, il numero tredici oranje calcia centrale, spiazzando Maier e portando in vantaggio i suoi. Da quel momento la squadra di Michels avendo il coltello dalla parte del manico, può ammazzare definitivamente la partita, ma i giocatori olandesi, molti dei quali nati alla fine della guerra, hanno un risentimento fortissimo nei confronti dei vicini tedeschi. La sensazione è che li vogliano umiliare con il loro palleggio, che però con il passare dei minuti diventa sempre più un fondamentale fine a sé stesso e sempre meno utile ad indirizzare il risultato a proprio favore.
Beckenbauer e compagni, come detto prima, hanno una forza mentale e un sangue freddo fuori dal comune, e col passare dei minuti la Germania Ovest supera lo shock iniziale e comincia a guadagnare metri, anche grazie all’eccellente marcatura di Berti Vogts su Cruijff. Al 25’ l’ala dell’Eintracht Bernd Hölzenbein riesce a penetrare palla al piede in area avversaria, subendo fallo dal mediano olandese Jansen. Taylor concede nuovamente un calcio di rigore, stavolta per i padroni di casa. Sul dischetto si presenta Paul Breitner, che supera un immobile Jongbloed con un rasoterra all’angolino.
Il pareggio scuote i teutonici, che si presentano con sempre maggior frequenza nella metà campo olandese, riuscendo a passare in vantaggio a due minuti dall’intervallo: Bonhof riceve palla sulla destra, arriva sul fondo e mette in mezzo un pallone sul quale si avventa Gerd Müller, praticamente nullo fino a quel momento. Il numero tredici tedesco riesce in un controllo orientato stranissimo, quasi più per voler proteggere il pallone che per mandarlo in porta; il suo movimento però manda in tilt la retroguardia olandese, che lascia a Müller lo spazio necessario per calciare; nonostante sia avanti rispetto alla palla, in una frazione di secondo il centravanti del Bayern riesce comunque a calciare in porta con un contro movimento ai limiti della fisica; il suo diagonale non è angolato ma è mortifero: Jongbloed rimane di sasso per la seconda volta e deve limitarsi di nuovo a raccogliere il pallone in fondo al sacco. Nel secondo tempo Cruijff e compagni assediano la metà campo tedesca, ma le occasioni migliori sono per la Nazionale di casa, a cui viene anche annullato un gol per fuorigioco, messo a segno di nuovo dal Bomber der Nation. Taylor fischia la fine e la Germania Ovest è Campione del Mondo per la seconda volta nella sua storia.
Nelle ore successive alla vittoria, per l’intera nazione inizia a serpeggiare un retrogusto amaro tra l’immensa gioia del trionfo: Gerd Müller, a 29 anni, decide di ritirarsi dalla Nazionale, e la finale nella sua Monaco sarà effettivamente la sua ultima gara con la Mannschaft. I motivi del suo addio non sono mai stati chiariti totalmente, ma la teoria più accreditata è quella che riguarda le pressioni che la Federcalcio tedesca esercitò per evitare che Gerd lasciasse la madrepatria proprio nell’estate precedente alla rassegna iridata. I soldi che il Barcellona offriva al Bayern e al giocatore erano veramente tanti, e la possibilità di formare una coppia potenzialmente letale con Johan Cruijff allettava e non poco il ragazzo bavarese, che vide sfuggire per sempre il treno blaugrana, e in totale conflitto con la Federazione decise di non indossare più la divisa bianca della Nazionale.
Gerd Müller lascia la Germania da Campione d’Europa e del Mondo in carica, e con l’impressionante score di 68 gol in 62 partite – in quel momento miglior realizzatore di sempre nella storia della Nazionale tedesca, successivamente superato di tre reti da Miroslav Klose, che giocherà però ben 75 partite in più –, qualcosa di unico e probabilmente irripetibile.
La sua carriera con il Bayern Monaco, al contrario, era lontana dalla fine: non riesce più a vincere il campionato tedesco – togliendosi comunque la soddisfazione di conquistare il suo settimo titolo di capocannoniere della Bundesliga nel 1978, a 33 anni, un record impressionante che è riuscito ad eguagliare solamente Robert Lewandowski nella stagione 2021/2022 –, ma insieme ai suoi compagni di squadra entra nella storia del calcio per aver portato i bavaresi a conquistare la Coppa dei Campioni per tre stagioni consecutive – gli unici a riuscirci insieme a Real Madrid e Ajax.
Dopo la conquista della prima storica Champions, nel 1974, sono infatti arrivate le immediate vittorie nella stagione 1974/1975 e 1975/1976. In entrambe le edizioni Müller ha realizzato 5 reti – vincendo il suo quarto titolo di capocannoniere della competizione nella prima, più di lui solo Cristiano Ronaldo e Messi, e arrivando secondo ad una marcatura di distanza dal solito Heynckes nella seconda –, in particolare nel 1975 è entrato nel tabellino dei marcatori nella finale contro il Dirty Leeds di Don Revie, mentre nel 1976 ha realizzato due gol ai quarti contro il Benfica di Jordão e tre in semifinale contro il Real Madrid di Santillana, con la finale contro il Saint-Étienne poi decisa dal potente mancino di Franz Roth. Dopo questa meravigliosa impresa, i tifosi del Bayern dovranno attendere 25 anni per tornare ad alzare al cielo la Coppa dalle Grandi Orecchie.
L’unica trofeo che Gerd e il suo Bayern non erano riusciti a vincere fino a quel momento era la Coppa Intercontinentale, poiché al primo anno il club tedesco rinunciò alla partecipazione – e la vinse l’Atlético che venne mandato al suo posto, e che oggi può vantare in bacheca un’Intercontinentale senza aver mai vinto la Champions – e al secondo non venne disputata perché non riuscì ad accordarsi con l’Independiente sulle date. La terza però è quella buona, e nella gara contro i brasiliani del Cruzeiro, il gol che apre le marcature, tanto per cambiare, lo realizza lui. La finale termina con un complessivo 2-0 tra andata e ritorno, e il Bayern Monaco vince la sua prima Coppa Intercontinentale, con Gerd che riesce a salire sul tetto del mondo anche con il club.
Gli ultimi gol e la drammatica vita post-ritiro
Nel 1979 Gerd decide di lasciare il Bayern dopo 13 stagioni, 14 trofei, 12 titoli di capocannoniere e ben 568 gol, di cui 365 in campionato – quest’ultimo un record ancora imbattuto. Seguendo l’esempio del suo capitano e amico Beckenbauer gioca per due stagioni negli States con i Fort Lauderdale Strikers, dove non perde il vizio del gol, ritirandosi dal calcio giocato a 35 anni, nel 1981.
L’addio ai campi da gioco coincide con l’inizio della parabola discendente della sua vita: prima la depressione e poi l’alcolismo spingono i suoi ex compagni al Bayern Rummenigge e Breitner, ormai affermati dirigenti del club bavarese, ad aiutare un amico in difficoltà, prima incoraggiandolo ad affrontare una terapia riabilitativa, poi assumendolo come allenatore delle giovanili per fargli assaporare di nuovo l’odore del campo, uno dei pochi veri antidoti alla sua drammatica situazione. Müller allena la seconda squadra del Bayern per quasi vent’anni, fino a quando una forma precoce di Alzheimer lo colpisce e lo costringe a fermarsi del tutto.
La prima diagnosi arriva nel 2008, mentre tre anni più tardi, dopo una partita disputata per un torneo giovanile a Trento, Gerd sparisce per 15 ore, vagando senza meta per il centro della città prima di essere fermato dalla polizia locale. Nel 2015 lo stato di salute di uno dei più grandi calciatori della storia viene comunicato ufficialmente al mondo dallo stesso Bayern Monaco. Da anni Müller viveva in un centro specializzato, prima del ritorno nella sua casa di Monaco, assistito come sempre da Uschi, compagna di una vita. Der Bomber si spegne nella mattinata del 15 agosto 2021, all’età di 76 anni.
L’uomo che per anni si era fatto beffe delle difese più arcigne del mondo non è riuscito però a schivare una delle malattie più subdole e infami che ci siano, un morbo che offusca i ricordi. Questi ultimi però, rimarranno saldi e irremovibili nella storia del calcio, perché uno che ha giocato, segnato e rivoluzionato il ruolo del centravanti come lui, è impossibile da dimenticare. Servus und danke, Gerhard.
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