Mkhitaryan

Henrikh Mkhitaryan, giocare con la testa

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Sguardo serio, sorriso sincero, occhi pensierosi, carattere timido. Il tutto contenuto in un fisico né naturalmente straordinario come quello di Ibrahimović né incredibilmente prestante come quello di Cristiano Ronaldo. Non è rapidissimo, ma in pochi riescono a contenerlo; non è appariscente, ma tecnicamente è sempre superlativo; non è un rapace d’area di rigore, ma segna più gol di molti attaccanti. Nel caso di Henrikh Mkhitaryan, infatti, è l’intelligenza a fare la differenza.



Henrikh nasce a Yerevan, in un freddo 21 gennaio del 1989. Poco dopo la sua nascita, la madre Marina decide di trasferirsi in Francia per riunirsi con il marito Hamlet, attaccante del Valence ed ex stella dell’Ararat Yerevan. Il piccolo Henrikh cresce quindi in un ambiente sereno, che gli permette di conciliare lo studio con il calcio, la sua grande passione, che lo porta a guardare sempre le partite del padre. Un funesto giorno del 1995, tuttavia, la vita della famiglia Mkhitaryan viene completamente stravolta: al padre Hamlet viene infatti diagnosticato un tumore al cervello in fase avanzata. Consapevole di star per morire, decide di tornare a Yerevan per cercare l’amore dei suoi cari e soprattutto non lasciare la sua famiglia in balia degli eventi: i tre interventi a cui si sottopone non bastano per salvare la sua vita, con Hamlet che spira il 6 maggio del 1996, lasciando una voragine nel fragile cuore di Henrikh, che ad appena 7 anni è costretto ad assistere alla lenta agonia del suo grande idolo.

Questo evento, che avrebbe distrutto la maggior parte delle persone, serve tuttavia come stimolo per il piccolo Henrikh, che promette al padre di ripercorrere la sua carriera, con l’obbiettivo di portare la Nazionale armena – della quale oggi è capitano e miglior realizzatore di sempre – quanto più in alto possibile. Entrato nell’accademia del Pyunik, Henrikh mostra tutte le sue enormi qualità sin da piccolissimo, tanto da costringere i suoi allenatori a farlo giocare sempre con ragazzi di almeno 2 anni più grandi di lui. Non a caso, l’esordio con la prima squadra arriva ad appena 17 anni, mentre l’anno successivo, alla sua seconda stagione fra i professionisti, il nuovo fenomeno del calcio armeno realizza 12 gol, conquistando i cuori di tutta la nazione e cominciando ad attirare su di sé l’interesse dei più grandi club dell’Est Europa. Né lo Shakhtar Donetsk né lo Zenit San Pietroburgo, tuttavia, riescono a convincerlo: Mkhitaryan vuole ancora rimanere in Armenia, sia perché non si sente pronto per un salto così importante sia perché deve terminare i suoi studi all’Armenian State Institute of Physical Culture. La sua famiglia, dopotutto, gli ha insegnato sin da piccolo il valore dell’educazione – scolastica e non –, per molti aspetti superiore al successo economico ottenuto grazie al calcio: Mkhitaryan non lo ha mai scordato, tanto che, oltre a parlare con notevole fluidità otto lingue, nel novembre del 2016 è diventato l’ambasciatore armeno dell’UNICEF.

Dopo altri due anni ad altissimi livelli in Armenia – nel 2009, infatti, segnerà addirittura 11 gol nelle prime 8 partite del campionato –, la stella di Mkhitaryan deve necessariamente spostarsi in un campionato più competitivo, per poter finalmente misurarsi con giocatori capaci di farlo crescere tanto dal punto di vista tecnico quanto dal punto di vista mentale. A scommettere sul suo talento è il Metalurh, e l’allenatore Kostov ne rimane talmente impressionato da regalargli sin da subito una maglia da titolare. Una scelta che il classe 1989 ripaga con 8 gol e 6 assist, contribuendo al 33% dei gol realizzati dalla squadra in tutto il campionato: un impatto enorme, che non a caso riaccende i radar dell’altra squadra di Donetsk, lo Shakhtar. Dopo essere stato nominato capitano ad appena 21 anni e aver giocato la prima parte della stagione 2010/2011 con la maglia del Metalurh, Mkhitaryan accetta la ricca corte della squadra di Lucescu, che gli offriva, tra le altre cose, la possibilità di affacciarsi alla più grande competizione per club.



L’impatto con una realtà così importante non è eccezionale, ma la fiducia nelle sue qualità non cambia. Lucescu, dopotutto, è sicuro che il 22enne Mkhitaryan sia destinato a diventare per lungo tempo un leader della sua squadra. Alla seconda stagione con la maglia arancionera, il talentuoso armeno realizza 10 gol e 7 assist, prendendosi la maglia da titolare, realizzando il gol del 2-1 in finale di Coppa d’Ucraina e facendo innamorare tutti i tifosi, che lo eleggono miglior giocatore della stagione. È il terzo anno, tuttavia, quello della definitiva affermazione a livello europeo, con l’armeno che incanta per tutto il corso del campionato, realizzando 25 gol in 29 partite e attirando così l’interesse di Borussia Dortmund, Juventus e Bayern Monaco. Il suo talento, dopotutto, ha un potenziale enorme e ancora in larga parte inesplorato; un talento che potrebbe permettere a qualsiasi squadra di sognare davvero in grande; un talento capace di rendere fiero anche papà Hamlet.

Pur andando contro la ferma volontà di Lucescu, che avrebbe voluto trattenerlo per molti anni allo Shakhtar, Mkhitaryan decide che è arrivato il momento di provare il grande salto, lasciando una realtà sì importante, ma comunque minore rispetto alle sue ambizioni.

A seguito di un fallimentare meeting a Londra, durante il quale era stato sondato anche da Tottenham e Liverpool, Mkhitaryan vola in Germania e si unisce al Borussia Dortmund, capace di catturare la sua attenzione con la possibilità di diventare subito un giocatore fondamentale della prima squadra, offrendogli anche la maglia numero 10. Jürgen Klopp, infatti, ne apprezza moltissimo le qualità, sia da calciatore che da uomo, e tra i due si svilupperà negli anni un grande rapporto. Mkhitaryan si trasferisce dunque in Bundesliga, aprendo il capitolo più luminoso della sua carriera – anche se, paradossalmente, non quello più vincente. Già dalla prima stagione l’ex Shakhtar si afferma come il perno inamovibile delle manovra offensiva della squadra di Klopp, che non rinuncia mai a lui, rendendo Mkhitaryan-dipendente il BVB: se lui gira, infatti, tutto il Borussia Dortmund va fortissimo e riesce a competere con il Bayern Monaco. Non a caso, quando nella stagione successiva Mkhitaryan vive un periodo di involuzione, tutta la squadra ne risente, tanto che Klopp termina la sua ultima stagione alle guida dei gialloneri con un deludente settimo posto e tante certezze da ritrovare con il nuovo allenatore, Thomas Tuchel, che decide di rinnovare la fiducia all’armeno. Una mossa apparentemente illogica, viste le prestazioni e i numeri dell’annata precedente, che però ripaga completamente il tecnico tedesco: in 52 partite fra tutte le competizioni, Mkhitaryan realizza infatti 23 gol e 32 assist, ricevendo il premio di miglior giocatore di tutta la Bundesliga senza vincere nemmeno un trofeo.

Nell’estate del 2016, quindi, l’armeno fa capire di voler cambiare aria, per continuare a cercare nuovi stimoli e una squadra che possa permettergli di affermarsi definitivamente anche a livello mondiale: questa squadra è il Manchester United di José Mourinho, che insiste fortemente con la società affinché gli regali il trequartista armeno, che arriva in Premier League per 42 milioni di euro e con tanta voglia di dimostrare il proprio valore. In Inghilterra, tuttavia, non ci riuscirà: se nella prima stagione riesce quantomeno a vincere un Europa League da protagonista assoluto, decidendo anche la finale con un bel gol in rovesciata, nella seconda Mourinho decide di escluderlo dal suo progetto tecnico, costringendolo a trasferirsi nella sessione invernale all’Arsenal, che spende 35 milioni di euro per portarlo a Londra. L’armeno sembra calarsi perfettamente nel progetto di Arsène Wenger, tanto che riesce ad affermarsi quasi subito come un giocatore importantissimo negli schemi dell’allenatore francese, che, tuttavia, a fine stagione decide di dire addio alla panchina dei Gunners dopo 22 anni. A subentrargli è Unai Emery, con cui l’armeno non riesce ad esprimere la sua intelligenza in campo. «Ha sempre prestato più attenzione alla tattica che al resto e il mio ruolo è cambiato. Prima giocavo da esterno offensivo, poi ho dovuto diventare un centrocampista difensivo. A un certo punto non ho più accettato di restare in panchina a guardare gli altri: ho 30 anni e ho voglia di giocare», dichiarerà successivamente Mkhitaryan.



La complessivamente deludente esperienza inglese è ormai giunta alla sua fine: Emery non lo considera un giocatore importante, ma un peso economico e tecnico che grava sul suo progetto tecnico giovane e rivoluzionario a cui il tecnico spagnolo vorrebbe dare vita. L’armeno pensa di avere ancora tanto da dare al mondo del calcio, tuttavia, per continuare a giocare, si deve scontrare con la realtà: le sue richieste contrattuali sono troppo alte – quasi 9 milioni di euro all’anno – per la maggior parte delle squadre che vorrebbero puntare sul suo talento.

Quando Mkhitaryan sembra condannato a rimanere a Londra, escluso da tutti e con la fiducia di nessuno, la Roma, nella persona di Petrachi, decide di provarci, anche perché un giocatore con le sue qualità non potrebbe che portare benefici al gioco del nuovo allenatore Paulo Fonseca. Il 2 settembre del 2019, quindi, Mkhitaryan diventa ufficialmente un giocatore giallorosso, per sbarcare nella città capitolina esattamente una settimana dopo, accolto da una folla di tifosi estasiati per l’arrivo di quello che, nonostante tutto, rimane un giocatore di caratura internazionale, che ha tutte le carte in regole per portare in alto la Roma. Per giocare nel club capitolino, l’armeno ha deciso di abbassare di quasi 2/3 le sue pretese contrattuali.

L’impatto con il calcio italiano conferma le ottime sensazioni dei tifosi giallorossi: alla sua partita d’esordio, infatti, l’armeno realizza un gol tecnicamente straordinario, capace di coniugare rapidità di gambe, tempi d’inserimento e velocità d’esecuzione. Da quel momento, Miki – come era già stato soprannominato da Klopp – diventa uno dei giocatori più amati della tifoseria, oltre a diventare uno dei pilastri della trequarti di Fonseca. Il fisico, tuttavia, non è più resistente come un tempo, e una serie di infortuni gli fanno saltare 16 partite di campionato fra la fine di settembre e l’inizio di febbraio. Quando rientra torna a segnare e a stupire, tanto che grazie ai suoi gol e soprattutto alla sua leadership tecnica, Fonseca riesce a conquistare un buon quinto posto in una stagione complicatissima a causa dei continui infortuni dei giocatori giallorossi.

Benché il 31 agosto Mkhitaryan torni ufficiosamente all’Arsenal, il suo destino è ormai scritto: continuerà ad essere un giocatore della Roma. Dopo una stagione da 9 gol e 5 assist, dopotutto, non può essere altrimenti. L’armeno rescinde con i Gunners e viene ufficialmente acquistato dalla Roma a 0, con un contratto annuale da “appena” 3,5 milioni di euro. Cifre che oggi fanno quasi sorridere, pensando tanto al rendimento quanto all’importanza del giocatore nello scacchiere tattico dell’allenatore portoghese.

Se la prima stagione in terra italiana è stata positiva, la seconda lo è ancora di più. Mkhitaryan, a poco più di metà campionato, ha già battuto gli score di quella passata: per lui sono infatti al momento 11 i gol segnati e altrettanti gli assist forniti ai compagni. In tutta Europa, sono pochissimi i giocatori che, come lui, possono vantare la doppia cifra di reti e assist a questo punto dell’annata.

Le qualità che sta mettendo in mostra quest’anno e che ha sempre mostrato nel corso della sua carriera sono chiare ed evidenti a tutti, ma come già detto in precedenza, la vera marcia in più dell’armeno è l’intelligenza. «Il calcio si gioca con la testa», diceva Johan Cruijff, uno dei giocatori più forti della storia di questo sport e probabilmente il personaggio più rivoluzionario dello stesso, e Henrikh Mkhitaryan questo lo sa fare decisamente bene.

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