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Le sette finali di Champions League perse dalla Juventus

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La Juventus è una delle squadre più vincenti della storia del calcio, ma ha da sempre un rapporto quasi maledetto con le finali della competizione per club più ambita d’Europa: la Champions League. Una Coppa che ha sì vinto in due occasioni – di cui una segnata da ricordi quasi esclusivamente negativi, quella della tragedia dell’Heysel –, ma che ha anche perso per ben sette volte all’atto conclusivo, un record assoluto nella storia del torneo.

Sembra quasi che, arrivata alla conclusione del percorso, venga sopraffatta da una tremenda ansia da prestazione, capace di stroncarne le possibilità di vittoria. Una spiegazione del genere può forse avere senso nel contesto di una singola finale, di un ciclo ristretto o un decennio, ma non regge quando si ripropone, inalterata, per quasi cinquant’anni.

Ripercorriamo insieme le sette finali che, dall’alba della Champions League a oggi, tormentano i sogni dei tifosi della Juventus di ogni generazione.


Ajax-Juventus 1-0 (30/05/1973)
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Ogni generazione, o quasi. Perché la Coppa dei Campioni – com’era chiamata all’epoca –, nasce nel 1955, ma la Juventus gioca la sua prima finale soltanto nel 1973. I bianconeri accedono all’atto conclusivo della competizione dopo un percorso tutt’altro che semplice, nel quale ha battuto i francesi del Marsiglia, i tedeschi orientali del Magdeburgo, gli ungheresi dell’Újpesti e il Derby County di Brian Clough.

Di fronte ai quasi 90.000 spettatori presenti in quel di Belgrado, a sollevare la Coppa dalle Grandi Orecchie è sì un giocatore in maglia bianconera – come si vede nella foto qui sopra –, ma, per sfortuna della Juve, si tratta di Johan Cruijff – alla sua ultima partita con i Lancieri –, che indossa la maglia degli avversari sconfitti – un gesto che all’epoca era visto come una forma di rispetto.

L’avversario della Juventus in quella finale è l’Ajax del calcio totale, a cui basta un bel colpo di testa di Johnny Rep nei primissimi minuti di gioco per superare gli uomini di Čestmír Vycpálek e laurearsi campioni d’Europa per la terza volta consecutiva, diventando la prima squadra a riuscirci dopo lo storico Real Madrid di Di Stéfano.

I bianconeri potevano vantare giocatori del calibro di Dino Zoff, Franco Causio, Roberto Bettega, Pietro Anastasi e José Altafini, ma si sono trovati di fronte una delle squadre più forti di sempre, seppur a fine ciclo, e partivano nettamente sfavoriti. Per la Juventus è dunque una sconfitta tutto sommato comprensibile, anche perché in quel momento nessuno poteva immaginare si trattasse solo della prima di una lunga e dolorosa serie di finali perse.


Amburgo-Juventus 1-0 (25/05/1983)

Per rivedere la Juventus in finale di Champions bisognerà attendere un decennio. Nell’edizione 1982/1983, i bianconeri fanno un percorso da schiacciasassi: rifilano sette gol ai danesi dell’Hvidovre, tre ai belgi dello Standard Liegi, cinque ai campioni in carica dell’Aston Villa – il 2-1 dell’andata al Villa Park è la prima storica vittoria di una squadra italiana in Inghilterra – e quattro all’underdog polacca Widzew Lódź, rimanendo imbattuta fino alla finale.

Nell’atto conclusivo trova tra sé e la sua prima vittoria europea l’Amburgo di Ernst Happel, una squadra decisamente modesta rispetto alla qualità sconfinata che aveva la squadra di Giovanni Trapattoni, che arriva all’appuntamento da assoluta favorita. I bianconeri potevano infatti schierare gran parte dell’Italia che l’anno prima si era laureata campione del mondo in Spagna – Dino Zoff, Claudio Gentile, Antonio Cabrini, Gaetano Scirea, Marco Tardelli, Paolo Rossi –, oltre a dei fuoriclasse assoluti come Michel Platini e Zibì Boniek.

Ed è paradossalmente proprio il divario enorme che c’era tra le due squadre, oltre all’attento studio della gara del maestro Happel – che la Champions l’aveva già vinta nel 1970 con il Feyenoord –, a tradire i bianconeri, che sottovalutano l’avversario e, subito lo schiaffone di Felix Magath – che a proposito di grandi imprese, da allenatore condurrà il Wolfsburg alla vittoria della Bundesliga nel 2009 –, non riescono più a reagire. I tedeschi resistono e conquistano, per la prima e finora unica volta, il tetto d’Europa.

Questa volta la sconfitta pesa decisamente di più. L’eccesso di sicurezza costa caro, e la Juventus arriva a quota due finali di Champions perse. Nessuno, stavolta, può trovare giustificazioni.


Borussia Dortmund-Juventus 3-1 (28/05/1997)

Con le vittorie nel 1985 e nel 1996, la Juventus riesce addirittura a pareggiare il bilancio tra le finali di Champions perse e quelle vinte. E subito, nell’edizione successiva, si presenta l’occasione di consolidare questo trend positivo.

La competizione è ormai diventata Champions League e ha cambiato formato, introducendo una fase a gironi. I bianconeri di Marcello Lippi dominano il proprio, vincendo tutte le partite – comprese le due contro il Manchester United, lo storico trionfo ad Old Trafford è il primo nella storia di un’italiana – e pareggiando solo nell’ininfluente trasferta a Vienna contro il Rapid. Ai quarti travolgono il Rosenborg con tre gol, in semifinale asfaltano l’Ajax – finalista battuta nell’edizione precedente – con un complessivo 6-2, e approdano per la seconda volta consecutiva all’atto conclusivo.

Ad attendere i campioni del mondo e d’Europa in carica c’è il Borussia Dortmund di Ottmar Hitzfeld – allenatore tedesco più vincente di sempre –, alla sua prima finale di Champions e sfavorito sulla carta.

La Juventus, rispetto alla finale dell’anno prima, può vantare la presenze in rosa della stella francese Zinédine Zidane – che solo un anno dopo sarà protagonista con la prima Francia Mondiale. Quello che non ha più, però, sono i trascinatori offensivi e temperamentali dell’annata precedente: il capitano Gianluca Vialli e il vicecapitano Fabrizio Ravanelli, sostituiti dal giovane Christian Vieri e dall’esperto Alen Bokšić.

La Juve è comunque una corazzata, parte forte, domina la prima mezz’ora e dà l’impressione di avere in mano la partita. Ma nel suo miglior momento, arriva il blackout: Karl-Heinz Riedle segna due gol in rapida successione, nel giro di cinque minuti, e gela i bianconeri. Prima dell’intervallo, Zidane colpisce un palo e a Vieri viene annullato un gol, ma serve l’ingresso di Alessandro Del Piero – tenuto fuori poiché appena rientrato da un infortunio – nella ripresa per sbloccare i bianconeri. Dopo un altro legno colpito da Vieri, è proprio colui che diventerà l’uomo simbolo in assoluto della storia juventina a segnare, con uno splendido colpo di tacco che vale il 2-1 e riapre il match.

La Juve spinge, attacca, assedia. Ma nel tentativo di pareggiare, lascia scoperta la difesa. Al 71’, appena entrato, Lars Ricken trova il gol che chiude i conti e regala al Borussia Dortmund la prima e al momento unica Champions League della sua storia.

In una notte degna di un incubo orchestrato da Freddy Krueger, la Juventus torna a perdere l’ultimo atto della Champions League, dopo le finali trionfanti del 1985 e del 1996. E da questo momento in poi, il copione non cambierà.


Real Madrid-Juventus 1-0 (20/05/1998)

Con un Vieri in meno e un Filippo Inzaghi in più, la Juventus ci riprova nella stagione immediatamente successiva, ancora una volta guidata da Marcello Lippi.

La Champions League, intanto, cambia volto: per la prima volta accoglie più di una squadra per nazione, travolta da un processo di modernizzazione che la rende sempre più simile a come la conosciamo oggi.

Ancora una volta nel girone dei bianconeri c’è il Manchester United, e stavolta è la squadra di Sir Alex Ferguson ad avere la meglio, chiudendo al primo posto davanti ai torinesi. La Juventus accede comunque ai quarti come miglior seconda e supera agevolmente la Dinamo Kiev e il Monaco, centrando la terza finale consecutiva.

L’ultima squadra da battere per portare la Coppa a Torino è il Real Madrid di Jupp Heynckes. Nonostante il loro blasone – erano la squadra con più vittorie nella competizione, 6 –, le Merengues non raggiungevano una finale da 17 anni e non ne vincevano una da addirittura 32. In Liga, poi, avevano chiuso con un deludente quarto posto. Tutto questo contribuisce a fare della Juve la favorita, forte anche del primo posto nel ranking UEFA per club.

La Vecchia Signora parte infatti meglio, ma la gara è più equilibrata rispetto a quella dell’anno precedente. A decidere l’incontro, al 66’, è Predrag Mijatović, che approfitta di una respinta fortuita in area e si trova a tu per tu con Angelo Peruzzi. Il gol, segnato da posizione dubbia, alimenta per anni discussioni e polemiche, ma sulla presunta irregolarità per fuorigioco non ci sarà mai certezza, in assenza della tecnologia che oggi supporta le decisioni arbitrali.

Davanti ai quasi 50.000 dell’Amsterdam ArenA, la Juventus incassa la sua quarta sconfitta in finale di Champions, diventando la prima squadra a perdere l’atto conclusivo della competizione per due edizioni consecutive – ci penserà il Valencia di Héctor Cúper, all’alba del Duemila, a farle compagnia, perdendo due finali consecutive contro Real Madrid e Bayern Monaco.


Juventus-Milan 2-3 d.c.r. (28/05/2003)

Dopo la finale del 1998, qualcosa si spezza tra la squadra e Lippi. Questo emerge nella stagione successiva, e la dirigenza bianconera decide di voltare pagina affidando la panchina a Carlo Ancelotti. La parentesi juventina di Carletto, però, è tutt’altro che memorabile: poche gioie, tantissimi dispiaceri, e un rapporto mai decollato la tifoseria.

Nel 2001 Marcello Lippi torna alla guida della Juventus, mentre Ancelotti prende il posto di Fatih Terim al Milan. Le loro strade sembrano essersi definitivamente separate, ma si incroceranno di nuovo, appena un anno più tardi, in una notte europea a Manchester.

La Champions League, nel frattempo, è cambiata ancora: ospita ormai le migliori squadre di ogni campionato, e ha alzato sensibilmente l’asticella della competitività. Basti pensare che i bianconeri, dopo aver passato le due fasi a gironi – come era d’usanza all’epoca –, hanno dovuto affrontare le due grandi di Spagna. Prima il Barcellona, eliminato ai supplementari grazie a una zampata di Marcelo Zalayeta. Poi il Real Madrid, travolto 3-1 a Torino in una delle prestazioni più memorabili della storia bianconera.

Quella contro i madrileni è una partita quasi perfetta. E a determinare il ‘quasi’ sono gli ultimi minuti della partita, nei quali Pavel Nedvěd commette un’ingenuità che gli costa la finale: da diffidato, viene ammonito per un fallo a metà campo. Una beffa enorme per la Juve: il ceco era probabilmente il giocatore più determinante di quella stagione, e non a caso verrà premiato con il Pallone d’Oro a fine anno.

L’ultimo ostacolo è il Milan, in una finale tutta italiana – la prima e finora unica nella storia della competizione –, con i rossoneri arrivati lì dopo aver eliminato l’Inter in semifinale. In panchina, ovviamente, c’è proprio il mai amato ex Carlo Ancelotti.

La partita è bloccata, molto tattica, ma non priva di occasioni. I portieri, Gigi Buffon e Dida, sono protagonisti assoluti e tengono il risultato inchiodato sullo 0-0 fino alla fine. Si va ai rigori. Entrambi gli estremi difensori parano a ripetizione, ma quando sul dischetto si presenta Andriy Shevchenko, l’estremo difensore di Carrara non può nulla. Il Milan conquista la sua sesta Champions League.

Tra tutte le finali di Champions perse, questa è forse la più dolorosa per i tifosi della Juventus, poiché arrivato contro uno storico rivale, in una di quelle gare che difficilmente ammette rivincite.


Juventus-Barcellona 1-3 (06/06/2015)

Per la Juventus, dopo la finale di Manchester, si apre un lungo periodo buio. Il culmine arriva con lo scandalo Calciopoli del 2006, che porta il club alla retrocessione in Serie B e impone una ricostruzione dalle fondamenta. Eppure, in pochi avrebbero scommesso che, meno di dieci anni dopo, la Juve non solo sarebbe tornata al vertice, ma avrebbe anche inaugurato il ciclo più vincente nella storia del calcio italiano e raggiunto di nuovo una finale di Champions.

È il primo anno della gestione di Massimiliano Allegri. Antonio Conte ha abbandonato la squadra durante il ritiro estivo per divergenze con la società, e adesso tocca al tecnico livornese raccoglierne l’eredità, tra lo scetticismo generale di tifosi e critica.

Dopo qualche scivolone di troppo, la Juventus riesce comunque a superare la fase a gironi come seconda, alle spalle dell’Atlético Madrid del Cholo Simeone – un risultato tutt’altro che scontato, soprattutto considerando che solo un anno prima era stata eliminata dal Galatasaray tra neve e fango.

Dagli ottavi in poi la squadra si compatta: elimina il Borussia Dortmund di Jürgen Klopp con due prove di forza, il Monaco con il minimo indispensabile, e il Real Madrid campione in carica con due prestazioni eroiche.

La Juventus può contare su un reparto difensivo quasi invalicabile, composto da grandi nomi come Gianluigi Buffon, Andrea Barzagli, Leonardo Bonucci e Giorgio Chiellini – coadiuvati dai terzini, Patrice Evra e Stephan Lichtsteiner. A centrocampo un mix perfetto di qualità, corsa e personalità: Andrea Pirlo, Paul Pogba, Arturo Vidal e Claudio Marchisio. In attacco, la grinta e la classe argentina di Carlos Tévez, accompagnato dai gol del giovane Álvaro Morata.

I bianconeri hanno fatto un percorso eccezionale, ma in finale partono sfavoriti: ad attenderli c’è il Barcellona di Luis Enrique, trascinato da uno dei tridenti più forti della storia del calcio – la famigerata MSN, composta da Lionel Messi, Luis Suárez e Neymar.

I ragazzi di Allegri ci provano, ma la qualità dei catalani è nettamente superiore e si vede in campo: Ivan Rakitić sblocca la partita pochi minuti dopo il fischio d’inizio, il solito Morata segna il gol dell’illusione – il quinto, dopo i due al Dortmund e al Real – ma Luis Suárez porta nuovamente avanti i suoi e Neymar chiude definitivamente i giochi.

Una sconfitta prevedibile, che lascia meno rimpianti rispetto a tante altre. Ma con questa, la Juventus supera il Benfica – maledetto da Béla Guttmann – e diventa la squadra con più finali perse nella storia della Champions League. E se per i portoghesi esiste almeno una leggenda a cui dare la colpa, per la Vecchia Signora resta un mistero: chi, o cosa, l’ha condannata a questo destino?


Juventus-Real Madrid 1-4 (03/06/2017)

Due stagioni dopo la sconfitta contro il Barcellona, la Juventus si rimette in marcia per tornare in finale. In panchina c’è ancora Massimiliano Allegri, ma la squadra è profondamente cambiata: il centrocampo ha perso tre colonne come Pogba, Vidal e Pirlo, l’attacco ha salutato Tévez e Morata. In compenso, i bianconeri guadagnano maggiore varietà e qualità offensiva, grazie alla classe di Paulo Dybala, alla forza fisica e allo spirito di sacrificio di Mario Mandžukić, e ai gol di Gonzalo Higuaín.

Per far convivere questi elementi, Allegri disegna una nuova disposizione tattica: un 4-2-3-1 fluido, capace di trasformarsi in un 3-4-1-2 a seconda delle fasi del match. Buffon è sempre il faro tra i pali; la linea difensiva è formata da Barzagli, Bonucci, Chiellini e Alex Sandro; in mezzo al campo agiscono Miralem Pjanić e Sami Khedira; sulla trequarti Dani Alves – o Juan Cuadrado –, Dybala e Mandžukić supportano l’unica punta, Higuaín.

La Juventus domina il girone contro Siviglia, Lione e Dinamo Zagabria, e agli ottavi regola senza problemi il Porto. Ai quarti affronta il Barcellona, che travolge con un 3-0 netto a Torino e blocca sullo 0-0 al Camp Nou. In semifinale, tocca al Monaco di Radamel Falcao e dell’astro nascente Kylian Mbappé, ma anche in questo caso la Juve è solida, concreta, cinica: vittoria all’andata e al ritorno.

I bianconeri si presentano in finale con un solo gol incassato dagli ottavi in poi. Ma di fronte c’è la squadra che ne ha segnati di più: il Real Madrid di Zinédine Zidane, campione in carica.

Sulla carta, i Blancos sono chiaramente più forti. Eppure il percorso limpido della Juventus, contrapposto a quello accidentato del Real – secondo nel girone dietro al Borussia Dortmund, passaggio ai quarti solo ai supplementari contro il Bayern Monaco, sconfitta al ritorno con l’Atlético Madrid – alimenta l’ottimismo.

La finale inizia bene: la Juve sembra in controllo, crea, gioca, spinge. Ma al 20’ Cristiano Ronaldo punisce alla prima vera occasione. La risposta bianconera è immediata: una perla di Mario Mandžukić, in rovesciata, ristabilisce la parità e infiamma la speranza. All’intervallo l’equilibrio è totale, e l’aria profuma di impresa.

Ma è proprio l’intervallo a segnare la fine. In quegli spogliatoi, qualcosa si spezza. Negli anni si è parlato di tutto – liti, parole grosse, addirittura schiaffi – ma i protagonisti hanno sempre smentito. Resta il fatto che in campo, nella ripresa, la Juve non rientra davvero. Il Real dilaga: Casemiro, ancora Cristiano Ronaldo e infine Marco Asensio. Finisce 4-1. Il Real Madrid solleva la sua seconda Champions consecutiva – la terza arriverà l’anno dopo –, diventando la prima squadra a battere la Juventus due volte in finale.

L’ultima delle finali di Champions League perse dalla Juventus è anche quella con il passivo maggiore tra tutte, la più umiliante. È la settima finale persa su nove, la quinta di fila. Una serie dell’orrore difficile anche solo da immaginare, ma che si ripresenta puntuale, come un incubo che rifiuta di svanire.

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