Napoli Sarri

Il Napoli di Maurizio Sarri

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Secondo lo scrittore siciliano Giovanni Verga, non vi è alcun modo per scampare al proprio destino da sconfitti per coloro che sono destinati ad essere, nella storia, i vinti. È quello che probabilmente è successo anche al Napoli di Maurizio Sarri, uno dei cicli calcistici più belli e affascinanti degli ultimi anni, che non è però riuscito ad aggiungere alcun trofeo alla bacheca del club partenopeo.


Un triennio agrodolce

Il Napoli, ormai da tempo, è un club affermato ai vertici del calcio italiano, e dopo il fallimento nell’estate del 2004, con conseguente retrocessione in Serie C1, non era facile immaginare un ritorno a certi livelli in questo relativamente breve lasso di tempo. Negli ultimi anni, infatti, i campani si sono più volte proposti concretamente come candidata alla vittoria finale dello Scudetto, un trofeo che nel palmarès azzurro è presente solo due volte, grazie soprattutto ai piedi fatati del Pibe de Oro – una variabile folle che nemmeno la saggia penna del Verga avrebbe potuto prevedere.

Ed è proprio sotto la guida di Maurizio Sarri che il Napoli vede le occasioni più nitide per acciuffare finalmente il campionato, senza mai riuscire a tenerselo stretto fino alla fine. È un destino crudele quello che lega l’allenatore toscano – dichiarandosi in più interviste un tifoso azzurro – e la squadra partenopea, riuscendo per buona parte dei tre campionati a rimanere in testa alla classifica, salvo poi cedere il posto nel momento decisivo agli acerrimi rivali della Juventus.

Guardando i risultati del triennio di Sarri sulla panchina azzurra, troviamo due secondi posti ottenuti nelle stagioni 2015/2016 e 2017/2018, separati dal terzo posto della stagione 2016/2017, mentre in Coppa Italia i campani non vanno mai oltre la semifinale, così come in Champions League non superano mai l’ostacolo degli ottavi.

«Zeru tituli», reciterebbe un famoso allenatore portoghese. Nonostante questo, però, quel Napoli non verrà mai dimenticato dai tifosi partenopei. Per quei tre anni, il San Paolo divenne la patria del bel gioco, della festa del pallone, dell’inno al calcio. Una squadra luminosa, quasi cristallina, semi realizzazione della perfezione.


La formazione del Napoli di Maurizio Sarri

La disposizione tattica degli undici era un 4-3-3, con il tridente offensivo come arma principale. La presenza di un trio offensivo è un aspetto fortemente caratteristico nella storia del Napoli: da Maradona, Careca e Giordano a Lavezzi, Cavani ed Hamšík, tridenti che hanno fatto la storia degli azzurri e conquistato il cuore dei loro tifosi. Lo stesso si può dire di Insigne, Mertens e Callejón, trio iconico del periodo sarriano, capace di scacciare i fantasmi residui di Gonzalo Higuaín, detentore tutt’ora del record di marcature in un solo campionato di Serie A, ovvero di 36 gol – condiviso con Ciro Immobile dalla stagione 2019/2020 –, raggiunto al primo anno della gestione Sarri.

Dopo il rumorosissimo addio della punta argentina alla città, il Napoli e Sarri cercheranno nelle prestazioni di Arkadiusz Milik un degno erede per il ruolo del centravanti, purtroppo mai pienamente trovato a causa anche dell’enorme sfortuna che ha colpito il calciatore polacco, vittima di due infortuni gravissimi ai legamenti crociati delle ginocchia. L’intuizione geniale del tecnico napoletano risiede allora nel piazzare Dries Mertens nel ruolo di falso nueve. Alla prima stagione nel nuovo ruolo, il folletto belga realizza ben 34 marcature. Insieme a lui, sono i compagni di reparto Insigne e Callejón i principali protagonisti dell’impresa sfiorata dal Napoli, capaci di finalizzare le azioni corali ed orchestrali costruite da tutta la squadra.

Nulla di tutto questo, tuttavia, sarebbe stato possibile senza le diverse eccellenze presenti negli altri reparti. A partire dal capitano e bandiera Marek Hamšík, centrocampista dalle doti eccezionali e perfetto incursore – capace di accarezzare la doppia cifra di goal ed assist per quasi tutte le sue stagioni in azzurro –, fino al complementare duo Jorginho-Allan, con l’oriundo vero e proprio perno della squadra, capace di bilanciare la ferocia agonistica e l’ottima capacità di recuperare palloni da parte del brasiliano, infaticabile mastino del centrocampo azzurro. Sono inoltre fondamentali i due centrali difensivi Kalidou Koulibaly e Raúl Albiol, con lo spagnolo a guidare tatticamente la spaventosa prestanza fisica del difensore senegalese, riuscendo a completare con Pepe Reina, portiere dai piedi educatissimi e dalla grande personalità, una delle migliori difese dei campionati disputati assieme. A loro si aggiungono il gregario Elseid Hysaj, un instancabile terzino capace di svolgere discretamente le due fasi, risultando il quinto giocatore per presenze nell’era Sarri – appena una manciata di gettoni sotto Callejón, Hamšík, Reina e Insigne –, che ha occupato stabilmente la fascia destra, mentre a sinistra si sono principalmente alternati Faouzi Ghoulam e Mário Rui, quest’ultimo in particolare dopo la serie di infortuni gravi che l’algerino ha dovuto affrontare.

Il Napoli rimarrà sostanzialmente così, con questo schieramento, per tutti e tre gli anni, senza stravolgimenti eccessivi agli interpreti. È questa, in effetti, una delle cose principali che vengono rimproverate all’ex-allenatore partenopeo, ossia quello di contare esclusivamente su 13-14 calciatori, non di più. Seppur sia vero che i giocatori in campo avevano assimilato perfettamente i concetti e gli schemi imposti da Maurizio Sarri, è altresì vero che gli stessi interpreti non potevano reggere fisicamente e psicologicamente una stagione intera a questi livelli. È proprio questo uno dei motivi principali delle cadute del Napoli per la corsa allo Scudetto, tradito sul più bello dalla poca lucidità mentale e fisica.


Il sogno sfiorato

È emblematico del ciclo sarriano del Napoli il finale della stagione 2017/2018, che vede arrivare gli azzurri alla trasferta dell’Allianz Stadium, la partita più importante dell’intera stagione, con solo 4 punti di distacco dalla Juve. La Vecchia Signora sembra accontentarsi di un pareggio a reti bianche, che permetterebbe ai bianconeri di mantenere le quattro lunghezze di differenza dal Napoli a sole quattro giornate dal termine, ma nell’ultimo attimo di partita, quando forse nessuno fra le file azzurre osava più anche solo sperare in un miracolo, dal calcio d’angolo battuto dall’instancabile Callejón, soltanto un uomo salta più in alto di tutti, rendendo memorabile quella serata: Kalidou Koulibaly schiaccia quella palla dinanzi lo sguardo dell’incolpevole Buffon, che può solo battezzare il pallone già oltre la porta. È 0-1 per il Napoli, e da lì a poco l’arbitro fischierà per ben tre volte, decretando il termine della partita. Senza più le forze per esultare, i giocatori azzurri si abbracciano fino allo spogliatoio, consci di aver in mano la penna per scrivere una nuova pagina della storia.

Il tutto si rivela poi vano ai fini del campionato. La spietata Juventus di allegriana memoria riesce a ribaltare il vantaggio di 2-1 costruito e mantenuto quasi fino alla fine della gara successiva dall’Inter, con un guizzo fortunoso di Cuadrado e un colpo di testa di Gonzalo Higuaín, assistiti entrambi dal piede fatato dell’appena entrato Dybala, mantenendo così il Napoli a debita distanza. Non sapremo mai con esattezza cosa accadde nelle teste dei calciatori in quella notte di fine aprile, considerando la rovinosa sconfitta per 3-0 maturata contro la Fiorentina al Franchi nel pomeriggio seguente. Di fatto, quella notte segna la fine del Napoli di Maurizio Sarri.

A fine stagione saranno 91 i punti raccolti dai partenopei, record storico per il Napoli e in generale per una seconda classificata nel campionato di Serie A. La favola accarezzata a lungo da tutta la compagine azzurra rimarrà incisa nelle memorie dei tifosi napoletani, spettatori di una storia spietata. È stato crudele vedere che a spegnere le speranze ed i sogni di ogni tifoso azzurro sia stato proprio l’uomo che solo due anni prima regnava su Napoli incontrastato, sua maestà Gonzalo Gerardo Higuaín, in un finale probabilmente scritto in persona dal sopracitato Verga.


La fine dell’era Sarri

Il matrimonio tra Maurizio Sarri e il Napoli si conclude nell’estate successiva – anche e soprattutto a causa del rapporto irrimediabilmente compromesso fra lo stesso allenatore e il presidente Aurelio De Laurentiis –, con il subentro da parte del leggendario Carlo Ancelotti.

Nei tre anni passati in Campania, Sarri è diventato qualcosa di più che un semplice tesserato della squadra. L’allenatore toscano era ormai un vero e proprio simbolo per i tifosi, talmente forte da trasformare tutto quello che avvenne in una vera e propria ideologia – il sarrismo –, tanto potente da riuscire a farsi posto tra le voci della Treccani.

La connessione calcistica ed emotiva che in quel triennio si è venuta a formare tra Napoli e il suo mister è rimasta molto profonda, legata a doppio filo dalle ancora vivide emozioni provate nel corso delle stagioni. Nei ricordi, l’amarezza di non aver potuto fregiarsi di alcun trofeo viene sempre soppiantata dalla gioia e l’orgoglio che quella squadra incantevole, guidata meravigliosamente dal suo condottiero in panchina, riusciva a trasmettere al San Paolo e negli stadi dell’Italia intera.

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