Morata

Álvaro Morata, de vuelta a casa

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«Certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano» cantava Antonello Venditti in uno dei suoi più celebri brani, e per quanto questa strofa venga ormai usata allo sfinimento, fino ad essere banalizzata per certi versi, si può affermare con certezza che non si potrebbe descrivere con parole migliori il ritorno di Álvaro Morata in quella che è stata a tutti gli effetti casa sua, la Juventus.



Morata nasce a Madrid nell’ottobre del 1992 e inizia a giocare a calcio fin da piccolo: a 13 anni entra nel settore giovanile dell’Atlético Madrid in cui militerà due anni, poi una stagione al Getafe ed infine il passaggio alla squadra più prestigiosa della capitale, il Real Madrid, nel 2008. In 5 anni nelle formazioni giovanili Morata segna diversi gol, riuscendo a mettersi in mostra nei confronti dell’allora allenatore della prima squadra, José Mourinho, che lo aggregherà spesso al gruppo dei più grandi, concedendogli l’esordio in massima categoria ad appena 18 anni, nel novembre del 2010, all’Estadio de La Romareda di Saragozza, subentrando ad Ángel Di María; in questa e nella seguente stagione Morata colleziona pochi scampoli di partita, ma tanto basta per aggiudicarsi il primo trofeo della sua carriera: la Liga del 2012.

Nella stagione 2012/2013 il giovane attaccante iberico trova il primo gol con la camiseta blanca, segnando la rete decisiva nella partita vinta in casa del Levante, che aveva assunto le sembianze di un thriller: sotto una pioggia torrenziale di quelle che a Valencia non si vedono mai, il Real va in vantaggio nel primo tempo con il solito Cristiano Ronaldo, ma viene agguantato nella ripresa grazie ad un gol da rapace di Ángel; il match è più combattuto del previsto, e sotto un diluvio di perugina memoria, col pallone che a malapena rimbalza, i madrileni rischiano di capicollare più volte sotto i colpi dei padroni di casa, il fenomeno portoghese è costretto ad abbandonare il campo, e Xabi Alonso fallisce addirittura un rigore. A risolverla è il canterano Morata, che sugli sviluppi di un calcio piazzato da metà campo, si smarca e insacca di testa a cinque minuti dalla fine, mettendo subito in mostra il pezzo forte del proprio repertorio.

L’occasione ghiotta per mettersi in mostra è l’Europeo Under-21 del 2013, che vedrà la Spagna vincitrice anche grazie al contributo di Álvaro che guida l’attacco di una rosa fenomenale composta dai vari David de Gea, Asier Illarramendi, Koke, Daniel Carvajal, Isco, Thiago Alcántara e appunto Morata, che con 4 reti si aggiudica la corona di capocannoniere della manifestazione.

Aggregato in via definitiva in prima squadra, Morata da vice-Benzema segna 8 gol in 23 partite di campionato, che gli permettono di avere la miglior media realizzativa della Liga con un gol ogni 70 minuti giocati; contribuisce anche alla vittoria della Dècima, realizzando un gol nella gara vinta contro lo Schalke 04 per 3-1.



A fine stagione in casa Real inizia un viavai di giocatori che coinvolge anche Morata, il quale, voglioso di giocare, decide di accettare l’offerta della nuova Juventus di Massimiliano Allegri, subentrato da pochi giorni ad Antonio Conte, che ha bisogno di un terzo attaccante da affiancare ai titolari Carlos Tévez e Fernando Llorente; il contratto viene ufficialmente firmato il 19 luglio 2014, si tratta di un prestito biennale che prevede diritto di riscatto e controriscatto a favore del Real fissato a 30 milioni.

Scelto il numero 9 e presentatosi ai tifosi, l’inizio è più complicato del previsto: ad appena due giorni dalla firma del contratto, in allenamento Morata si procura una rottura del legamento collaterale mediale, che lo terrà fuori per le prime uscite stagionali.

L’esordio con i bianconeri arriva nella vittoria casalinga per 2-0 ai danni dell’Udinese, il primo gol – ovviamente di testa – è di appena due settimane più tardi, nel 3-0 a domicilio dell’Atalanta, in cui riesce a sfruttare alla perfezione un cross dalla destra di Roberto Pereyra; nel corso della stagione, a forza di prestazioni convincenti, Morata diventa il titolare dell’attacco bianconero, formando con Tévez la coppia d’attacco che farà vivere, nonostante il triste epilogo, una stagione magica ai tifosi juventini.

L’attaccante iberico si distingue subito per la sua facilità di corsa e abilità di smarcamento, che gli permettono di trovarsi pronto di fronte al portiere o di duettare col natio di Fuerte Apache, risultando spesso anche fin troppo generoso, come ironicamente racconterà Max Allegri anni dopo.

La stagione 2014/2015 fa sbocciare l’amore tra Morata e l’intero ambiente bianconero, soprattutto per quanto fatto nel cammino europeo dal ragazzo spagnolo, che nella fase finale realizza gol a ripetizione portando la banda Allegri a sfiorare il trionfo continentale. I primi due gol nella rassegna iridata sono negli ottavi di finale contro il Borussia Dortmund di Jürgen Klopp: il primo allo Juventus Stadium siglando il gol del definitivo 2-1, il secondo nello 0-3 di fronte al muro giallo, nella notte in cui l’urlo dell’Apache si alzò nel cielo di Dortmund.

Archiviata la pratica Monaco ai quarti, in semifinale la Juventus incontra i campioni in carica, i galacticos di CR7, Gareth Bale e Sergio Ramos, nonché ex squadra di Morata: è proprio ai danni della squadra dove è cresciuto che l’ariete segna due gol che gli permettono di diritto di entrare nella storia del club, perché sono due gol che permettono alla Juventus di arrivare in finale di Champions 12 anni dopo l’ultima volta, dopo anni bui passati tra Serie B, settimi posti e umiliazioni in Europa League: Morata è il volto di una nuova Juve con grandi ambizioni, giovane e affamata come il suo centravanti, che da giovane promessa diventa uomo, col rito di iniziazione più bello che potesse immaginare. All’andata apre le danze sfruttando una risposta corta del portiere e una disattenzione difensiva dei due centrali, partita che poi i bianconeri vinceranno per 2-1, la ciliegina sulla torta arriva però nella cornice del Santiago Bernabéu, lo stadio del terzo mondiale azzurro diventa la vetrina perfetta per lui, per la Juve, per il calcio italiano.

La partita è tesa, le due squadre attaccano da una parte e dall’altra ma sono i padroni di casa che fanno la partita e che la sbloccano con un rigore del solito Cristiano Ronaldo propiziato da un’ingenuità di Giorgio Chiellini. Sotto all’intervallo, serve un episodio che possa riequilibrare la gara, e arriva intorno al quarto d’ora della ripresa: punizione dalla destra affidata a Pirlo, la difesa allontana ma Arturo Vidal ripropone al centro con un campanile, sponda di Paul Pogba verso Morata che prende il tempo al difensore, controlla di petto e spara in porta. C’è chi piange, chi finisce 10 file più in basso o dal lato opposto della stanza del bar, c’è a chi sono saltate le coronarie, qualcuno dice di aver avuto anche un’apparizione, ciò che conta è che la Juventus fa 1-1 e grazie al gol di Morata accede alla finale di Berlino.

L’ultimo gol segnato in Champions da Morata è proprio in finale contro il Barcellona, in ribattuta, un gol che si rivelerà però illusorio, perché i blaugrana della MSN sono troppo forti e schiacciano la Juventus per 3-1.



La stagione successiva parte bene per Morata, che con una Juve in crisi di risultati in campionato, all’esordio in Champions realizza, dopo il pareggio di Mandžukić, uno spettacolare gol vittoria all’Etihad Stadium di Manchester con un sinistro a giro da fuori che non lascia scampo al portiere dei citizens Joe Hart. Nel turno successivo segna l’1-0 nella vittoria casalinga contro il Siviglia, arrivando a segnare per 5 gare consecutive in Champions ed eguagliando il record che da 20 anni apparteneva ad Alessandro Del Piero.

Sembra l’anno della definitiva consacrazione per Morata nel panorama calcistico europeo, ma le cose andranno diversamente. Per via di infortuni, scelte tecniche e vicissitudini personali, Morata sembra il lontano parente del mattatore della stagione precedente: non segna, gioca poco e male, commette errori banali a cui non ha certamente abituato i tifosi, finendo regolarmente in panchina dietro a Mario Mandžukić.

Nonostante qualche acuto, la stagione di Morata procede con molte più ombre che luci, fino alla svolta del marzo 2016: si gioca il ritorno degli ottavi di Champions all’Allianz Arena di Monaco, all’andata contro il Bayern era finita con una rimonta storica, da 0-2 a 2-2 con un ottimo impatto dello spagnolo, che al ritorno dovrà reggere da solo il peso dell’attacco viste l’assenza di Paulo Dybala e le condizioni precarie di Mandžukić. Il 9 bianconero quando sente la fatidica musichetta si esalta, e di fatto gioca con ogni probabilità la sua miglior partita in carriera: fa ammattire la difesa tedesca e propizia il raddoppio di Juan Cuadrado con uno slalom degno del miglior Tomba. Morata segnerà anche un gol, annullato nonostante fosse regolare, ma la Juventus, dopo aver subito il pareggio a tempo quasi scaduto, perderà l’incontro e saluterà la competizione.

La stagione finisce con la vittoria di Scudetto e Coppa Italia, ma è un finale agrodolce perché il Real decide di esercitare il diritto di recompra e di riportare in Spagna l’attaccante.

La finale di Coppa è l’ultima partita disputata da Morata in maglia juventina, ed essendo lui l’uomo delle grandi serate, la decide con un gol nei supplementari. Più del gol, realizzato con un bel gesto tecnico, più della vittoria del titolo, è l’intervista post gara a segnare la serata: ai microfoni Morata si commuove, sa che quella che ha giocato – e deciso – è la sua ultima partita in bianconero, in quella che era diventata a tutti gli effetti casa sua, il suo locus amoenus. Sono quegli occhi lucidi, più dei gol, a consacrare Morata idolo della tifoseria, e che lo accompagneranno in un continuo «torna a casa, Álvaro», finché a casa non ci tornerà davvero.




Rientrato a Madrid vince il campionato e la seconda Champions, proprio ai danni della Juventus, e nonostante sia con 20 gol il secondo miglior marcatore stagionale dei madrileni, l’ombra di Benzema è ancora troppo importante, e lo porta fuori dalla Spagna a fine annata.

La grande occasione di rivalsa si chiama Chelsea, Antonio Conte, che già voleva Morata alla Juventus, spinge per il suo arrivo che si concretizza per ben 64 milioni di euro, ma dopo un super inizio le prestazioni calano vistosamente, e soprattutto sotto porta il madrileno sbaglia diverse occasioni clamorose: la figura di Morata, agli occhi degli spettatori, è ormai ridotta a quella di un meme, stessa sorte che era capitata, sempre in maglia blues, a Fernando Torres, e che nella stessa stagione colpì Romelu Lukaku in quel di Manchester.

Dopo un anno e mezzo di sofferenze sportive, prese in giro e insulti dai suoi stessi tifosi, Morata – che comunque aveva segnato 24 gol – torna a Madrid per 63 milioni di euro, ma dalla parte dei Colchoneros, la squadra per cui ha sempre fatto il tifo. Anche qui la permanenza è di 18 mesi in cui Morata segna, ma più che altro gioca per la squadra mettendosi al servizio di Antoine Griezmann prima, di João Félix e Diego Costa poi, mostrandosi per quello che potremmo definire davvero il suo ruolo: una seconda punta atipica.

Non ha medie disastrose ma non è un bomber, è un attaccante che gioca per i compagni e che all’occorrenza si fa trovare pronto sotto porta. Anche a Madrid non ci sono grandi soddisfazioni sul lato sportivo – che comunque, anche questa volta, porta con sé 22 gol –, specialmente nella scorsa fallimentare stagione, in cui però Álvaro, naturalmente in Champions, si toglie lo sfizio, nella serata monstre di Llorente, di decidere ai supplementari la sfida di ritorno degli ottavi di finale, ad Anfield, la cattedrale dei campioni in carica del Liverpool.



Nella travagliata estate 2020, che vede un mercato stravolto causa  pandemia, la Juventus sonda vari attaccanti, da Arkadiusz Milik a Edin Džeko, fino a sfiorare il colpo Luis Suárez, ma alla fine, a sorpresa, il 9 che approda alla corte di Pirlo è proprio l’ex compagno Morata, che dopo 4 anni torna a casa.

Forse non è il profilo che ci si aspettava, sicuramente – viste le sue ultime stagioni – non un colpo altisonante, ma giocare in un ambiente che ama e nel quale il suo affetto è ricambiato può essere determinante a livello individuale e collettivo. Morata, diciamolo chiaramente, non è Suárez, ma a Torino può tornare il mattatore delle magiche notti europee, e la Juventus, dal canto suo, spera di poter tornare ad essere inna-Morata dello spagnolo, per quella che non può essere una semplice avventura.


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