Osimhen

Victor Osimhen, sognare per vivere

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Charles Baudelaire, uno dei più grandi poeti francesi, era convinto che l’uomo deve voler sognare e soprattutto saper sognare. Avere un sogno equivale ad avere un motivo per cui vivere, un qualcosa a cui credere o dedicare la propria vita.

Da bambini spesso si rincorre il sogno di diventare calciatori, di giocare per il proprio club preferito, oppure per la propria nazionale. Emergere nel mondo del calcio, d’altro canto, non è per nulla facile, ancor di più per chi è figlio del continente più povero del pianeta, dove tra le tante difficoltà sociali, il solo talento e le proprie doti innate, non bastano per diventare qualcuno. Applicazione, dedizione, sacrificio e anche una buona dose di fortuna, sono necessari per compiere questo viaggio.

L’Africa sta sempre più acquisendo un ruolo importante nel panorama internazionale calcistico, patria delle stelle Mohamed Salah e Sadio Mané – capaci di vincere tutto con il Liverpool – ma anche terra del Pallone d’Oro George Weah, del recordman Samuel Eto’o – in grado di vincere due Triplete con due club diversi – o dell’eroe di Londra Didier Drogba. Proprio l’ivoriano è stato un modello ed un esempio per l’ultimo fra i talenti più luminosi del calcio africano, Victor Osimhen.



È Lagos, in Nigeria, la città più popolosa dell’Africa e la quarta nel mondo, ad essere il luogo dell’infanzia di Osimhen, che muove i primi passi con il pallone tra i piedi, nell’Ultimate Strikers Academy, l’accademia calcistica della città nigeriana. Victor proviene da una famiglia povera, perde prestissimo la madre, ed è costretto fin dalla tenera età a guadagnarsi da vivere. Racconta della sua terra come di un luogo senza speranza, teatro della sua dura infanzia. Solo il calcio è compagno del ragazzo, visto come unica via per vivere una vita dignitosa. Dopo svariate reti e le prime falcate a campo aperto, arriva la prima grande occasione di Osimhen per spingersi verso il calcio che conta: la convocazione per disputare il Mondiale Under-17 di Cile 2015 con la Nazionale nigeriana.

Il Mondiale è una ghiotta occasione per prendersi le luci della ribalta, ed Osimhen non tradisce le aspettative, dimostrando fin da subito di essere un attaccante devastante. Il ragazzo di Lagos segna in tutti e 7 i match del torneo – divenuto record nella competizione –, siglando ben dieci gol e trascinando la squadra alla vittoria finale.

È il primo grande palcoscenico per Victor, che gli permette di superare i confini, e raggiungere l’Europa. Il Wolfsburg fiuta il colpo e si muove d’anticipo, prelevandolo già da gennaio per 3.5 milioni di euro. La prima grande tappa nel percorso di Osimhen si consuma qui, in Germania, ritrovatosi fra i più grandi già da subito, con il proprio sogno fra le mani. L’avventura con i bianco-verdi, tuttavia, si rivela alquanto infelice, poiché il suo anno e mezzo trascorso in terra teutonica fu tempestato da infortuni, tante panchine e prestazioni poco brillanti. Sono queste le prime difficoltà che il ragazzo è costretto ad affrontare, complice un’integrazione non totalmente compiuta fra le fila dei Lupi, e il club, non riuscendo a garantirgli spazio, apre alla sua cessione in prestito.

Le prime due squadre ad interessarsi sono il Zulte Waregem e il Club Brugge, entrambe militanti nella Jupiler Pro League – massimo campionato belga –, rispettivamente vincitrici della coppa nazionale e del campionato di quella stagione. Nell’estate del 2018, tuttavia, il talento nigeriano viene colpito della malaria, che complica le due operazioni. Solo il Charleroi, alla fine, si muove concretamente per assicurarsi il talento nigeriano.



Arrivato in punta di piedi dopo la sua stagione deludente al Wolfsburg, Osimhen ha tutta l’intenzione di riscattarsi, di ritrovare i goal e soprattutto sé stesso. Scelto il numero 45 di balotelliana memoria, dopo il suo primo goal contro il Waasland-Beveren – parecchio simile a quello che Zlatan Ibrahimović siglò contro il Parma a San Siro ai tempi dell’Inter – Victor non si ferma più, chiudendo l’annata nel club belga con 20 reti in 36 presenze stagionali. Il Charleroi ha un nuovo campioncino, una futura stella che ha cominciato già a scintillare.

Tutto sembra pronto affinché lui viva un’altra stagione con le zebre belga, ancor di più dopo la sconfitta in finale play-off, valevole per la qualificazione in Europa League, ma il nigeriano aveva già stregato un nuovo club: il Lille, che veniva da un secondo posto in Ligue 1, bussa alla porta dello Charleroi. I francesi, orfani di alcuni dei loro protagonisti, quali Rafael Leão partito per Milano e Nicolas Pépé che si è accasato all’Arsenal, vedono in Osimhen il profilo adatto per colmare il vuoto in attacco, e per 12 milioni di euro portano il nigeriano alla corte di Christophe Galtier.

La sua piena consacrazione avviene proprio in Francia, dove conferma quanto di buono vistosi nella stagione precedente. Al debutto in Ligue 1 confeziona una doppietta contro il Nantes, dimostrando le sue straordinarie doti atletiche e tecniche: non è un attaccante che galleggia solo all’altezza dell’area avversaria, sa proporsi, proteggere palla e scaricarla sul compagno. È abilissimo soprattutto nell’attaccare la profondità, individuando i corridoi e scappando alle spalle del difensore, rendendosi imprendibile grazie alla sua velocità prorompente.

A guardarlo bene, si direbbe che abbia le fattezze di una punta prepotente e senza estetica calcistica, che predilige l’efficacia alla bellezza dei tocchi e dei gesti tecnici. Osimhen è come il vento infernale del Sahara che attraversa la sua Nigeria, è anarchia e caos in mezzo al campo, senza ordine e senza limiti: non si rivolgerà mai alla suola per accarezzare il pallone o per nasconderlo fra le sue gambe, ma saprà sempre come superare l’avversario con i suoi scatti imperiosi, con delle vere e proprie fughe da lestofante per puntare la porta e poi distruggerla con delle sassate. Si rivela molto utile anche in fase di non possesso, la sua ferocia rende il suo pressing asfissiante e soffocante per i difensori, spesso costretti a retrocedere di fronte alla sua presenza.

Questo calciatore così coinvolto fisicamente non può essere esente da una personalità a tratti travolgente: uno dei difetti del calcio di Osimhen è infatti la scarsa capacità di contenersi emotivamente. Si noti come il ragazzo nigeriano, crei un rapporto molto forte con i propri compagni di squadra, un forte senso di appartenenza per la propria squadra. Lo vedremo spesso difendere i propri compagni, che sia un fallo subito o un cenno di litigio; per questo motivo, molto spesso Osimhen riceve tanti cartellini evitabili.

D’altra parte, la sua forte personalità emerge spessissimo anche sul campo da gioco, e non manca nelle sue prime partite delle grandi occasioni: segna infatti due gol in Champions League contro Chelsea e Valencia, nonostante il Lille venga sconfitto in entrambi i match.

Dogues terminano la stagione al quarto posto, ad un solo punto dallo Stade Rennais terzo, a classifica cristallizzata e campionato chiuso anticipatamente a 10 giornate dal termine, causa COVID-19. Osimhen segna ben 18 reti – di cui 13 in campionato, dove viene eletto miglior giocatore africano – in 38 presenze stagionali, diventando uno dei beniamini dei tifosi del Pierre Mauroy.




D’altro canto, l’esperienza francese di Osimhen dura poco più di un anno: il 31 luglio 2020, dopo una lunga trattativa, Osimhen è ufficialmente un calciatore del Napoli. Diventa il calciatore africano più costoso nella storia del calcio, con un’operazione di circa 70 milioni di euro, risultando anche l’acquisto più oneroso della storia del club azzurro e il sesto più costoso nella storia della Serie A.

Il Napoli decide di affidare le chiavi dell’attacco ad una tipologia di attaccante ben diversa da quella che offriva Arkadiusz Milik, giocatore dalle caratteristiche tecniche più complete e dai compiti da punta globale. Gennaro Gattuso vede in Osimhen il profilo adatto per affrontare la rivoluzione tattica del suo undici, trasformando il 4-3-3 della stagione passata in un 4-2-3-1.

Subentrato ad Ancelotti nel dicembre 2019, l’allenatore calabrese trovò una squadra sfiduciata e con il morale sotto i piedi. Gattuso promise di ribaltare lo spogliatoio, non tradendo la parola data e concludendo la stagione conquistando un pass per l’Europa League e vincendo un trofeo, la Coppa Italia, ai danni della Juventus dell’ex Maurizio Sarri. Se l’allenatore calabrese ha deciso di rivoluzionare la piazza partenopea in modo tale da tornare a lottare per lo scudetto, allora ha trovato in Osimhen il proprio Masaniello, un leader pronto a guidare la rivolta napoletana contro la “tirannia” bianconera.

Un calciatore col veleno in corpo, una frase ricorrente nel vocabolario gattusiano. Victor si colloca perfettamente in questo modo di intendere il calcio – aggressivo, rabbioso, senza mai mollare un centimetro –, mettendo in luce inoltre le sue indubbie qualità tecniche da attaccante moderno.

Il primo gol in azzurro matura nell’incredibile trionfo partenopeo ai danni dell’Atalanta di Gasperini, e in questa rete ci sono tutti gli elementi che descrivono il modo di giocare del nigeriano: da un rinvio lungo di Ospina verso l’area atalantina, Osimhen trova ed addomestica il pallone con una leggerezza sconcertante – complice una lettura aerea errata di Christian Romero –, e in un istante la punta napoletana si trova pronta a calciare in porta, girandosi in una frazione di secondo e sistemandosi il pallone con un paio di tocchi, lasciando partire un destro secco ed angolato che supera Sportiello.

Nel momento dell’esultanza corre ad abbracciare Gattuso, lasciandosi andare in un’immagine di rara bellezza e rendendo evidente il legame fra i due, travolti poi dal resto del gruppo. È di facile lettura come il nigeriano sia un elemento positivo per lo spogliatoio, integratosi perfettamente nei meccanismi e nei rapporti con compagni e collaboratori tecnici.

Tuttavia, da lì a poco, un infortunio compromette il proseguo della sua stagione. Lussatosi la spalla nel match contro il Sierra Leone, valido per la qualificazione alla Coppa d’Africa – in una partita in cui Osimhen segna anche una rete –, il nigeriano resta fuori per quasi due mesi. Negli ultimi giorni prima di tornare in campo, però, risulta positivo al COVID, contratto ingenuamente a seguito della propria festa di compleanno, celebrata in Belgio senza alcuna precauzione sanitaria. Il ritorno in campo è dunque problematico a causa della forma fisica da ritrovare, e alla prima gara giocata per 90 minuti dal suo rientro, contro l’Atalanta, perde i sensi negli ultimi secondi di gioco a causa di un trauma cranico, spaventando tutti gli spettatori e venendo trasportato in ospedale. Insomma, una prima stagione italiana parecchio sfortunata e probante.

Il Napoli soffre parecchio l’assenza del nigeriano – accompagnata da altre indisponibilità pesanti per la rosa –, la media punti formidabile di inizio stagione crolla, e al definitivo rientro in campo di Osimhen la situazione in classifica è parecchio cambiata, con il Napoli chiamato ad una rincorsa Champions decisamente complessa. La seconda gara di marzo è quella del grande ritorno, e da subentrato segna subito al Bologna, regalando i tre punti agli azzurri. Da quel momento in avanti il Napoli di Gattuso si arrenderà solo all’Allianz Stadium di Torino, nel recupero della gara rinviata ad inizio stagione causa COVID contro la Juventus, con Osimhen che vanta una media di partecipazione al goal di 1 rete ogni 88.2 minuti, visti i suoi 8 goal e 2 assist messi a referto nel finale di stagione. Tuttavia, il pareggio all’ultima giornata di campionato contro l’Hellas Verona condanna il Napoli al quinto posto, a -1 dalla Juventus.

Questo obiettivo mancato contribuisce alla decisione del presidente partenopeo Aurelio De Laurentiis di separarsi da Gennaro Gattuso – che già durante la stagione aveva dovuto affrontare delle uscite poco piacevoli dello stesso ADL. Per Osimhen, tutto sommato, è stata un’annata in crescendo, con dieci reti in totale siglate per i partenopei, e un finale di stagione che rimanda al mittente i dubbi e le critiche ricevute nella prima sfortunata parte di campionato.

Con l’arrivo di Luciano Spalletti, il Napoli decide di tentare un salto di qualità, che passa inevitabilmente nella conferma dell’attaccante ex Lille. La partita manifesto di Osimhen è il pareggio al King Power Stadium di Leicester: sotto 2-0 fino all’ultima mezz’ora di gara, Victor inventa un pallonetto per superare i due metri danesi di Vestergaard e un altro per superare quanto basta Schmeichel; un goal creato non tanto per le qualità tecniche nei tocchi di Osimhen, quanto nella lunghezza delle sue leve, una rete furba e quasi beffarda nei confronti dei difendenti. Accorciate dunque le distanze, negli ultimi cinque minuti di gara compone uno stacco imperioso su Söyüncü da un cross di Politano. Delirio e onnipotenza, il volto di Osimhen non sa bene di che espressione facciale comporsi, con un risultato di un misto fra la rabbia di chi ha tutto da dimostrare e l’incredulità di chi ha stupito anche sé stesso.

Dal punto guadagnato contro il Leicester, Osimhen diventa cruciale nel Napoli di Spalletti con sette goal in undici partite. Il Napoli non perde una singola gara in campionato fino al match di San Siro contro l’Inter, dove è ancora la sfortuna a rendersi protagonista sul cammino dell’attaccante, che esce malconcio da un duello aereo con Milan Škriniar. I partenopei perdono il match e il nigeriano contemporaneamente, che rischia uno stop di oltre tre mesi.

Un ennesimo infortunio potrebbe dunque frenare l’ascesa di Victor Osimhen, Masaniello dei giorni nostri di una piazza calorosa, storicamente bisognosa di un personaggio di tale caratura per realizzare le proprie conquiste. Il ragazzo di Lagos è già amato dai tifosi azzurri, che impazienti aspettano il suo ritorno per continuare a rincorrere quel sogno chiamato Scudetto. Scudetto che non è soltanto un trofeo da esporre, ma soprattutto il simbolo di un popolo che vive romanticamente e focosamente il rapporto con il calcio, spesso visto come mezzo per ottenere riscatto sociale. Lo stesso significato che Victor Osimhen ha posto nel suo percorso da calciatore, vissuto profondamente e intensamente in tutte le sue sfaccettature, proprio come nella città in cui adesso è fautore dell’impresa idealizzata.


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