Yaya Touré

Yaya Touré è stato il prototipo del centrocampista ideale

PSS Slider

Quando pensiamo al prototipo del centrocampista ideale, che cosa immaginiamo? Tecnica fuori dal comune, tanta corsa, fisicità, ecletticità e facilità di adattamento. Yaya Touré era tutto questo. Un calciatore che ha fatto la storia recente della Premier League nella compagine simbolo del calcio moderno, il Manchester City, senza dimenticare la precedente parentesi al Barcellona che gli ha permesso di vincere tutto e, in ultima istanza, i dieci anni a controllare il centrocampo della più memorabile delle generazioni di calciatori ivoriani.


Un inizio atipico

Yaya nasce a Bouaké nel 1983, e a tredici anni muove i primi passi nelle giovanili della squadra principale del campionato ivoriano, il Mimosas. Tanti suoi connazionali hanno indossato questa maglia tra cui il fratello Kolo, Gervinho, Eboué e Salomon Kalou. Qui un giovane Touré si fa notare da Jean-Marc Guillou, allenatore della prima squadra dal 1993 al 2000. Guillou sarà la chiave di volta nella carriera di Yaya, in quanto il francese, dopo una breve parentesi come allenatore degli Elefanti, conclude la propria carriera da tecnico in Belgio, al Beveren, e si pone l’obiettivo di portare in Europa i migliori calciatori ivoriani. Tra questi c’è chiaramente Touré, che nel 2001 parte con lui e inizia la propria carriera da professionista nel Vecchio Continente.

Nelle tre stagioni passate nelle Fiandre, Touré gioca 75 partite, realizzando anche 3 gol, e nel 2003 viene chiamato dall’Arsenal per un provino. Sebbene durante l’amichevole di prova organizzata contro il Barnet l’ivoriano non convinca la stampa, Wenger lo vuole lo stesso con sé, ma dei problemi con il permesso di lavoro fanno sfumare l’approdo dell’ivoriano a Londra – dove avrebbe raggiunto il fratello Kolo, uno dei protagonisti della cavalcata trionfale degli Invincibles della stagione 2003/2004.

A questo punto Yaya è reo di uno dei trasferimenti più particolari di sempre: nel dicembre del 2003 firma infatti per il Metalurh Donetsk, una squadra di secondo piano del campionato ucraino – fallita peraltro nel 2015 a causa della guerra del Donbass. Nonostante questo, il 20 giugno 2004 Yaya Touré esordisce anche con la maglia della Costa d’Avorio, una delle squadre africane più forti dell’epoca, della quale diventerà velocemente un caposaldo.

Dopo due stagioni in Ucraina è la volta di un altro trasferimento peculiare: nel mercato estivo del 2005 Touré parte in direzione Olympiakos. Lì però, giocando con delle leggende del calcio come il portiere Nikopolidīs e soprattutto Rivaldo, esordisce in Champions League – competizione dalla quale esce ai gironi, ma togliendosi la soddisfazione di servire al brasiliano l’assist per il gol vittoria contro il Real Madrid, dopo aver saltato di forza Sergio Ramos – e fa il double nazionale, conquistando campionato e coppa.

Il passaggio al Monaco nell’agosto 2006 – con in mezzo una Coppa d’Africa persa ai rigori contro l’Egitto e un Mondiale deludente concluso ai gironi – è travagliato. Dopo un iniziale periodo di difficoltà dovuto agli screzi con l’allenatore rumeno László Bölöni, Touré non si sente adoperato al meglio e i monegaschi sono in penultima posizione. Con l’arrivo di Laurent Banide, però, la musica cambia. Il Monaco riesce a salvarsi tranquillamente, e a contribuire sensibilmente ci sono i 5 gol e 7 assist di Yaya, diventato uno dei centrocampisti più interessanti d’Europa, tanto da conquistare la dirigenza del Barcellona che, nell’estate del 2007, spende 9 milioni di euro per farlo arrivare alla corte di Frank Rijkaard.


Al Barça per vincere

Quell’estate i blaugrana iniziano un’operazione di rinnovamento della rosa che verrà completata solo nella stagione successiva. Oltre a Yaya, infatti, arrivano il promettente Bojan Krkic dalla cantera, Éric Abidal dal Lione campione di Francia e soprattutto il grande Thierry Henry dall’Arsenal – a completare un reparto offensivo spaziale con Ronaldinho, Eto’o e un giovane Lionel Messi.

La stagione 2007/2008 si rivela tuttavia scarna di successi: in Liga chiudono al terzo posto alle spalle della sorpresa Villarreal e a -18 dal Real Madrid; in Copa del Rey vengono eliminati in semifinale dal Valencia – poi campione; e in Champions League si fermano in semifinale contro il Manchester United di Cristiano Ronaldo – che poi batterà il Chelsea in finale, ai rigori. Nella stessa annata, peraltro, Touré sbatte ancora contro l’Egitto in Coppa d’Africa, venendo eliminato in semifinale.

Nell’estate successiva inizia l’epoca più vincente della storia recente del Barcellona. Nonostante le partenze pesanti di Ronaldinho e Deco, alla corte del neo allenatore Pep Guardiola arrivano Dani Alves e Piqué a blindare il reparto difensivo e Sergio Busquets dal Barcellona B. I blaugrana quell’anno sono semplicemente mostruosi. Dopo aver superato il Wisła Cracovia al turno preliminare di Champions, esordiscono male in campionato perdendo a Soria contro il Numancia, ma dopo quel passo falso per vederli battuti si deve aspettare il mese di dicembre – contro lo Shakthar, nell’ultima gara dei gironi di CL.

In campionato, dopo aver agguantato la testa della classifica ad inizio novembre, non la lasciano più, vincendo la Liga con 105 gol e otto punti di distacco ai rivali del Real – a cui rifileranno sei gol a maggio dinanzi agli 80.000 del Santiago Bernabéu. In Copa del Rey superano agilmente Benidorm, Atlético Madrid, Espanyol e Mallorca senza mai perdere, per poi schiantare in finale l’Athletic Bilbao per 1-4 – Yaya Touré è autore del pareggio azulgrana al 31’ dopo l’iniziale vantaggio dei baschi.

ll percorso europeo li vede invece eliminare gli ostici francesi del Lione agli ottavi, i campioni di Germania del Bayern Monaco ai quarti – con un memorabile 4-0 al Camp Nou – e il Chelsea in semifinale – gara decisa dal meraviglioso gol al 93′ di Iniesta, e passata alla storia come una delle più polemiche di sempre per l’arbitraggio di Tom Henning Ovrebo. Il 27 Maggio 2009, allo Stadio Olimpico di Roma, va in scena Barcellona-Manchester United. Ricordata per essere il primo vero scontro tra Messi e Cristiano Ronaldo, è proprio l’iconico gol di testa della Pulga a rendere il Barcellona la prima squadra spagnola a conquistare il Triplete.

I blaugrana chiudono il 2009 con altri tre trofei in bacheca: la Supercoppa di Spagna vinta complessivamente 5-1 ancora contro l’Athletic Bilbao, la Supercoppa europea vinta 1-0 ai supplementari contro lo Shakhtar Donetsk e il Mondiale per Club vinto dopo aver battuto i messicani dell’Atlante e gli argentini dell’Estudiantes. Per la prima volta nella storia del calcio sentiamo parlare di Sextuple – o Sextete, in spagnolo.

Arrivato durante un periodo di forte transizione, l’ivoriano è riuscito ad imporsi da titolare in una rosa considerabile tra le più forti di sempre, vincendo tutto ciò che si poteva vincere e dimostrando un’estrema versatilità e adattabilità, ricoprendo i ruoli di mezzala, mediano e all’occorrenza difensore centrale – come in occasione della semifinale di ritorno e della finale di Champions League del 2009.

L’anno dopo inizia invece amaramente sia per il Barcellona, sia per Yaya Touré: le fatiche dell’anno precedente si fanno sentire ed entrambi lo capiscono sin da subito poiché i blaugrana escono clamorosamente dagli ottavi di Copa del Rey per mano del Siviglia, mentre l’ivoriano vola in Angola per disputare la Coppa d’Africa e subisce la sconfitta per 3-2 ai quarti contro l’Algeria, che sancisce la fine prematura della rassegna continentale per il centrocampista.

La stagione si conclude con la sensazione che si sarebbe potuto fare molto di più: sebbene in campionato non ci sia storia dati i 99 punti messi a referto – record al tempo –, il sogno di diventare la prima squadra a vincere la Champions League due volte di fila – a partire dal cambio di format del 1992– si infrange nell’iconico doppio confronto in semifinale contro l’Inter di José Mourinho.

L’imposizione sempre più robusta dello storico terzetto Iniesta-Busquets-Xavi e un’intesa sempre meno forte con Guardiola – problema che tornerà negli anni successivi – lo portano peraltro alla decisione di lasciare il Barcellona, dopo 118 presenze, 6 gol e 8 assist.



Under the (blue) moon

Dopo il Mondiale sudafricano che la Costa d’Avorio chiude ai gironi, Yaya Touré si trasferisce al Manchester City per 30 milioni di euro, diventando in quel momento il terzo calciatore africano più costoso nella storia della Premier League – dietro solo a Essien e al connazionale Didier Drogba. Sono ancora anni di transizione per gli Sky Blues dopo l’arrivo dello sceicco Mansūr, ma i Citizens allenati da Roberto Mancini già vantano diversi fuoriclasse tra le loro fila.

Proprio l’attuale CT dell’Italia capisce in quella stagione che le qualità palla al piede di Yaya Touré vanno sfruttate maggiormente, così inizia ad impiegarlo prettamente come trequartista e come incursore. La scelta ripaga: è la miglior annata dell’ivoriano a livello realizzativo con 10 gol e 7 assist all’attivo in 50 presenze.

La squadra è in continua crescita – chiude al terzo posto in campionato e torna a giocare la Champions dopo oltre quarant’anni –, e il torneo a dare la soddisfazione più grande è la FA Cup. Dopo i due replay contro Leicester City e Notts County, l’Aston Villa viene battuto in scioltezza 3-0, e ai quarti di finale è un gol al 74′ di Micah Richards a eliminare il Reading e portare il City in semifinale, nella quale affronterà il Manchester United.

A Wembley, contro i rivali di sempre, è proprio Yaya Touré a decidere la gara, approfittando di uno scellerato passaggio di Michael Carrick che consegna alla parte blu di Manchester la finale. Il 14 Maggio 2011, contro lo Stoke City, è ancora una volta Yaya Touré a segnare, regalando ai Citizens il primo trofeo dello loro storia recente, 35 anni dopo l’ultima volta.

I ragazzi di Roberto Mancini adesso vogliono di più, vogliono vincere il campionato, e nella stagione successiva viaggiano a ritmi impressionanti restando imbattuti sino alla quindicesima giornata – cadono per 2-1 contro il Chelsea, sotto i colpi di Meireles e Lampard. Yaya Touré negli ultimi mesi del 2011 è semplicemente sontuoso: sigla il nuovo record per numero di passaggi tentati (168) e realizzati (157) in una singola partita di Premier League – nella vittoria per 3-0 contro lo Stoke –, mette a referto 2 gol e 4 assist in campionato e ne segna altri 3 in Champions League – nonostante l’amara eliminazione ai gironi contro Napoli e Bayern Monaco. Questi numeri gli valgono il premio ‘Calciatore Africano dell’anno‘ – ne vincerà altri tre di fila, diventando il più premiato di sempre insieme a Samuel Eto’o – e un ulteriore ingresso nella storia di questo sport, visto che Yaya è il primo – e al momento unico – centrocampista a ricevere tale onorificenza, precedentemente vinta solo da attaccanti.

E a proposito di Africa, all’inizio del 2012 disputa la sua terza Coppa continentale. Les Éléphants arrivano in finale da assoluta favorita, guidati dal proprio perno di centrocampo, ma per Yaya arriva la seconda sconfitta nell’atto conclusivo della competizione, ancora ai calci di rigore. A trionfare è la favola dello Zambia di Hervé Renard e dei ragazzi che portano nel cuore la tragica storia del disastro aereo del 1993, che ha stroncato sul nascere le speranze di quella che viene considerata la più grande generazione di talenti zambiani di sempre.

Nel frattempo, in assenza dell’ivoriano, il Manchester City si fa eliminare sia dalla FA Cup – ancora contro lo United – che dalla Coppa di Lega – per mano del Liverpool –, e complica il proprio cammino in Europa League – contro lo Sporting Lisbona, dopo la sconfitta per 1-0 in terra portoghese, Yaya torna disponibile al ritorno e serve anche un assist ad Agüero, ma la vittoria 3-2 non basta per via della regola dei gol in trasferta.

Quando poi ad inizio aprile la banda Mancini perde in campionato 1-0 contro l’Arsenal, gli otto punti di distacco dallo United in testa a sei giornate dalla fine sembrano il punto esclamativo su una stagione fallimentare, ma i Citizens non sanno cosa sta per succedere. Nelle successive tre battono West Brom, Norwich e Wolverhampton mentre lo United crolla ripetutamente, riducendo il margine a soli tre punti prima dello scontro diretto. In quello che per molti è considerato il più grande derby di Manchester di sempre, il gol del capitano Vincent Kompany porta agli Sky Blues la testa della classifica grazie alla migliore differenza reti.

Alla penultima giornata Touré decide con una doppietta la vittoria per 2-0 a Newcastle, portandosi a 9 gol stagionali, mentre nella storica ultima giornata di quella stagione Yaya assiste Zabaleta per il gol dell’1-0 contro il QPR prima di uscire per infortunio. Senza il suo aiuto per la squadra di Mancini è tutto più difficile, ma grazie ai gol nel recupero di Džeko e Agüero il Manchester City torna campione d’Inghilterra, 44 anni dopo l’ultima volta.

L’era Mancini termina nella stagione successiva, nella quale il City torna a vincere il Community Shield dopo quarant’anni – con Touré ancora decisivo –, ma in Premier arrivano a dodici punti di distanza dall’ultimo Man United di Sir Alex Ferguson, in Coppa di Lega escono al terzo turno in casa contro l’Aston Villa, in Champions League chiudono al quarto posto nel super girone con Borussia Dortmund, Ajax e Real Madrid, e infine perdono la finale di FA Cup contro il già retrocesso Wigan di Roberto Martínez.


Il più forte nel suo ruolo

Nella stagione 2013/2014 Yaya Touré viene promosso a vice capitano della squadra del nuovo tecnico Manuel Pellegrini, trovandosi in molteplici occasioni a portare la fascia al braccio in assenza di Kompany. Ciò che però è passato alla storia sono i numeri dietro l’annata dell’ivoriano – la più prolifica della sua carriera –, a testimonianza di cosa fosse effettivamente capace di fare in mezzo al campo.

Nel corso del campionato si dimostra un vero e proprio fuoriclasse dei calci piazzati, realizzando 10 gol su 13 calci da fermo tentati – 4 punizioni e 6 rigori. A queste ci sono da aggiungere altre 10 reti su azione, per un totale di 20 marcature totali in Premier League – prima di lui solo Frank Lampard nella stagione 2009/2010 aveva raggiunto quota 20 gol da centrocampista. Complessivamente saranno 24 i gol e 12 gli assist stagionali, numeri che ci dicono quanto Touré fosse in quel momento il centrocampista più performante al mondo.

Quell’anno l’ivoriano è il capocannoniere del Manchester City e con la maglia sky blue vince la seconda Premier League in tre anni, oltre alla terza EFL Cup della storia dei Citizens – una menzione d’onore va alla sua prestazione in finale contro il Sunderland, gara nella quale il classe ’83, dopo l’iniziale vantaggio di Fabio Borini, pareggia con l’ennesima bordata da fermo dai venticinque metri per poi assistere Jesús Navas per il gol del 3-1 finale dopo una sgroppata partita dalla propria metà campo.


Cambio nelle gerarchie

La stagione 2014/2015 del City è segnata da diversi flop di mercato e risultati deludenti. In estate l’Arsenal stravince 3-0 il Community Shield, in Premier League i Citizens arrivano secondi dietro il Chelsea di José Mourinho, mentre sia in FA Cup sia in Coppa di Lega il cammino degli sky-blues si arresta al quarto turno. Yaya Touré per la quarta stagione consecutiva segna 9 o più reti – 12 in questo caso –, ma la sua assenza per squalifica in Champions League – arrivata dopo che nella sconfitta ai gironi contro il CSKA Mosca l’ivoriano segna ma si fa espellere – costa caro ai suoi, che nel doppio confronto agli ottavi con il Barcellona perdono 3-1.

L’anno dopo, l’ultimo dell’Ingeniero da tecnico del City, è caratterizzato da luci ed ombre. Le note negative riguardano il quarto posto in Premier – a quindici punti di distacco dal leggendario Leicester di Claudio Ranieri – e l’eliminazione al quinto turno di FA Cup; le note decisamente positive invece sono la campagna acquisti – arrivano tre calciatori che entreranno nella storia del club: Kevin De Bruyne, Raheem Sterling e Nicolás Otamendi –, la seconda Coppa di Lega vinta in tre anni e soprattutto la prima semifinale di Champions League della storia dei Citizens – persa complessivamente per 1-0, contro il Real Madrid, con lo sfortunato autogol di Fernando. È arrivato il momento di cambiare, è arrivato il momento della rivoluzione.

Annunciato già nel febbraio del 2016, a partire dal mese di luglio Pep Guardiola diventa il nuovo allenatore del Manchester City. Il catalano arriva in Inghilterra con l’obiettivo di vincere e dominare sul campo imponendo la propria filosofia tattica, e ciò può avvenire solo attraverso una completa rivoluzione dell’organico. A farne le spese tra i tanti è proprio Yaya Touré, che si vede escluso dalla lista UEFA per la fase a gironi. La decisione manda su tutte le furie l’agente di Yaya Dimitri Seluk, che attacca verbalmente l’allenatore catalano il quale, di tutta risposta, mette il centrocampista ivoriano fuori rosa. Il classe ‘83 infatti non vede il campo fino al 19 novembre, quando, dopo essersi pubblicamente scusato, torna tra i titolari nella trasferta di Londra contro il Crystal Palace, gara che decide con una doppietta di destro. Da quel momento il numero 42 entra nell’undici titolare e gioca altre 29 partite, siglando altri 5 gol e 3 assist ma non riuscendo a portare alcun trofeo al primo anno inglese di Guardiola.

Touré decide di non rinnovare il contratto alla fine della stagione 2017/2018: vince con i Citizens la terza Premier League e la terza Coppa di Lega della sua carriera, ma colleziona solo 17 presenze – la maggior parte da subentrato –, chiudendo addirittura la stagione a secco di gol per la prima volta. La sua ultima partita con la maglia sky blue è datata 9 maggio 2018: nella penultima gara di campionato Yaya Touré gioca con la fascia da capitano al braccio, per poi uscire applaudito da tutto lo stadio, dopo 316 gare da assoluto protagonista, condite da 79 gol e 49 assist.



A capo del popolo ivoriano

Se la carriera di club di Yaya Touré è stata assolutamente ricca di trofei, lo stesso non si può dire di quella con la Costa d’Avorio, con la quale ha raccolto tante delusioni. Questo almeno fino alla Coppa d’Africa 2015, la trentesima edizione della storia e la sesta consecutiva a cui lui prende parte. È la sua ultima manifestazione con la Nazionale, e per questo l’ultima grande occasione di riportare gli Elefanti al successo. A guidare la squadra in panchina c’è colui che tre anni prima li privò della grande gioia in finale, il francese Hervé Renard, mentre in campo per la prima volta con la fascia di capitano, tocca soprattutto a Yaya.

Inseriti nel Gruppo D con Camerun, Guinea e Mali, il girone risulta estremamente equilibrato: cinque incontri su sei finiscono 1-1, e a siglare l’unico successo è proprio la squadra di Renard ai danni del Camerun, grazie al gol al 36′ di Gradel che vale il passaggio del turno assieme alla Guinea – passata a discapito del Mali grazie all’insolita formula del sorteggio, dato che entrambe le squadre erano pari nei criteri di qualificazione.

Ai quarti di finale la Costa d’Avorio affronta l’Algeria di Mahrez, Ghoulam e Feghouli. Al 26′ Bony di testa porta in vantaggio gli ivoriani, che però vengono raggiunti nella ripresa da Hillel Soudani. A sbloccare la situazione è una punizione di Yaya Touré, che a venti minuti dalla fine che trova ancora Bony di testa, mentre a chiudere la pratica nel recupero ci pensa Gervinho.

Il cammino della banda Renard vede in semifinale la sorpresa Repubblica Democratica del Congo, arrivata alla final four 17 anni dopo il leggendario terzo posto dei Leopardi. Davanti ai 30.000 dell’Estadio de Bata, la sblocca al 20′ capitan Yaya Touré, imbeccato da Bony. Dopo neanche quattro minuti il fallo di mano di Bailly costa caro agli ivoriani, poiché dal dischetto Mbokani pareggia i conti siglando il suo terzo gol del torneo – concluderà da capocannoniere assieme ad altri quattro calciatori. Allo scadere del primo tempo è Gervinho ancora su assist di uno scatenato Bony a siglare il 2-1, mentre al 68′ il tap-in vincente di Wilfried Kanon porta gli Elefanti in finale per la terza volta in nove anni.

Le ultime due finali di Coppa d’Africa a cui ha partecipato la Costa d’Avorio hanno due comuni denominatori: sono state partite serrate finite ai calci di rigore, e perse. E per la terza volta non bastano 120 minuti di gioco contro il Ghana per sbloccare l’iniziale 0-0. L’incubo sembra ancora una volta concretizzarsi quando la Costa d’Avorio sbaglia i primi due tiri dal dischetto, con il Ghana che va sul 2-0. Ma gli errori di Acquah e Acheampong rimettono in carreggiata la squadra di Renard, che non sbaglia più. Vengono infatti trasformati tutti i successivi rigori – compreso quello di capitan Touré, che porta la contesa ad oltranza –, e a decidere l’incontro è il portiere Boubacar Barry, che prima para il rigore del collega Razak, e poi mette a segno il suo. Touré e compagni possono finalmente esultare, perché dopo ventitré anni e due finali perse, la Costa d’Avorio riesce a tornare sul tetto d’Africa, chiudendo un capitolo di storia del calcio rimasto per troppo tempo incompleto.

Nonostante gli innumerevoli successi della sua carriera – che concluderà con due ultime brevissime parentesi tra Grecia, con il ritorno all’Olympiakos, e Cina –, niente può pareggiare l’emozione e l’orgoglio di vincere con i colori della propria nazione. E il successo in Coppa d’Africa del 2015 è stata per Yaya la più gustosa delle ciliegine da mettere in cima alla sua strabiliante torta. Touré nel corso degli anni è riuscito a dominare i centrocampi di tutta Europa, dimostrandosi il mix perfetto tra potenza ed eleganza, e rientrando per questo nell’élite dei più grandi centrocampisti box-to-box della storia di questo sport.

Leggi anche: La rivoluzione di Sergio Agüero